"Storie di paese", cronache popolari
tra realtà e fantasia

Nel nuovo libro di Emilio Magni racconti con il sapore del tempo andato

Sarebbe bello ogni tanto fermarsi dove capita per "contarla su un po’" come si faceva un tempo quando non c’era la tv e quindi si poteva serenamente pensare, liberare fantasie, chiacchierare e ascoltare. Facendo dunque finta di niente, come se il tempo si fosse fermato mezzo secolo fa, mi è piaciuto infilarmi in cronache di varia umanità, vicende di gente comune in ambienti popolari. Ecco dunque questo libro dal titolo "Storie di paese" (edito da Mursia), scrivendo il quale è stato come se mi fossi a lungo soffermato nei cortili delle cascine contadine, tra le donne appoggiate alle ringhiere a stendere i panni, oppure negli angoli delle strade (che qualcuno chiama ancora  "canton di ball") dove sopravvivono piccole congreghe di pensionati, oppure sui treni dei pendolari. È stato pure come fermarsi alla sera al bar, nella maniera di un tempo, per tirare notte e arrampicandoci su avvenimenti balordi, in bilico tra la realtà e la fantasia.
Le "storie di paese" sono alcune brevi, qualcuna più lunga, quasi tutte sull’onda del raccontare schietto, semplice e disinvolto del popolo con poca istruzione e tanta fantasia: un parlare nel quale, talvolta, ci s’infilava qualche battuta in dialetto, per rendere più facilmente l’idea. 
Ecco la storia della giovanetta che, il 25 aprile del ’45, fanno sfilare rapata, poi di notte la vogliono violentare perché aveva sorriso a un bel soldato tedesco biondo.
L’animo talvolta è sgomento, in altre vibra di emozioni intense ed è così che un vecchio, malato, ormai senza speranze, riesce a vedere dalla finestra dell’ospedale uno scorcio di lontananze che, tra palazzi incombenti, si perdono all’infinito: come i suoi pensieri che, cogliendo l’occasione, tornano ai dolci ricordi della sua giovinezza. E così muore sereno.
Il "Cleto di Bumbon", figlio di un ricco pasticciere e cresciuto un po’ in ritardo con l’intelletto, trova per la prima volta l’amore, ancorché mercenario, a una curva della strada durante il giro delle consegne. Quando la ragazza pretende la giusta mercede pensa di sdebitarsi con le torte di cui è pieno il furgoncino.
Tra gli stormi di uccelli che a primavera tornano, un anno c’è anche una rondine bianca. La vede Luigina, l’ultima di una nidiata di figli di una famiglia contadina. Quel raro esemplare albino accompagnerà la sua adolescenza nella gioia e nel dolore.
Ecco il vecchio infermo, costretto all’ultimo piano di un grande palazzo, che ascolta con piacere lo strimpellare sui tasti di una ossessionate maestra di piano. Lui le fa sapere che gli piacerebbe ascoltare qualche nota di Beethoven. La maestra lo accontenta, ogni tanto suona "Serenata al chiaro di luna". Lui escogiterà un singolare modo per ringraziarla.   
Un giovane impiegato al catasto che arriva dal sud, tutti i pomeriggi mentre torna alla sua solitaria pensione rallenta il passo per sentire il profumo del minestrone che dilaga intenso da una cascina. Ha fame e quell’afrore gli ricorda sua madre lontana. Le figlie della famiglia lo vedono, ogni giorno lo aspettano, si affacciano alla finestra. Un giorno la maggiore dimentica di allacciarsi la camicetta. Ma lui sposerà la sorella che abbassava gli occhi.
I ricordi aiutano ma talvolta sono strani, come quello del pensionato appassionato di pesca che passati i settant’anni si rese conto che non può più fermarsi per ore nell’acqua, con i brividi che gli entravano nelle ossa per qualche pesciolino. E così, dopo che aveva abboccato un solo "gobbo" piccolo, rachitico, decise di tornare a casa dove ebbe il colpo di grazia. La moglie guardando quel gobbo rachitico gli disse. «Ma cosa ne faccio? Questo va dritto giù ai gatti».
Poi girò il coltello nella piaga: «Che differenza rispetto a quelle volte, tanti anni fa, quando tornavi dal lago, dove andavi con la barca, a tirlindana: quanti persici, quanti lucci e poi anguille, trote».
Ma i ricordi trascinano altri ricordi. Gli sovvenne dell’estate in cui venne la Lisetta e invece che a tirlindana andarono dentro il canneto, poi in un capanno di legni rozzi e precari, come antiche palafitte in bilico sull’acqua tranquilla.
«Questo è un amore preistorico», aveva commentato la Lisetta che diceva di essere brava in storia.
«Siamo come gli abitanti delle palafitte, o come gli egizi sul Nilo», gli aveva detto facendo un po’ confusione di epoche, ma con un sorriso che voleva dire tutto. Per essere ancor più nella parte, aveva preso a spogliarsi restando a torso nudo: proprio come le concubine del faraone.
Passò una serata deliziosa con quelle dolci rimembranze che rimbalzavano nei suoi pensieri. Nonostante la tv continuasse a sbraitare, si addormentò beatamente. Stranamente l’ultimo pensiero non fu per la Lisetta alla quale piaceva dondolare con lui sulle palafitte, proprio come gli antichi egizi, ma per il gatto che giù nel buio umido, stava facendo festa con il su pesce gobbo rifiutato dalla moglie.

Emilio Magni

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