<Le tre zitelle> da Londra a Firenze
tra lezioni d'inglese e tazze di tè

In anteprima il nuovo romanzo della scrittrice Carla Porta Musa
Ambientato in Toscana, disegna il ritratto di tre ragazze

Per gentile concessione dell’autrice, pubblichiamo la prima puntata del nuovo romanzo della scrittrice Carla Porta Musa «Le tre zitelle».


Connie era di Liverpool, ma la madre, francese, rimasta vedova tornò a vivere a Parigi con la figlia maggiore, Jeanne, di diciotto anni.
Jeanne dopo qualche mese si fidanzò con un nobile francese, Marc Delambert, che partì per la guerra e un mese dopo fu ucciso. La madre di tanto in tanto andava a trovare la figlia Connie, fermandosi poco, perché il suo lavoro di giornalista la impegnava molto.
Joyce era irlandese e i genitori avevano una splendida villa a Sanremo. S’affrettarono a venderla quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Si era fidanzata con un colonnello francese, che poco dopo partì per la guerra e il mese successivo fu ucciso.
Nina era russa. Non appena i bolscevichi occuparono il castello principesco della sua famiglia, non lontano da Mosca, il nonno abbandonò tutto e con la nipote Nina passò la frontiera, appoggiandosi a un bastone che il principe aveva fatto svuotare dal falegname di fiducia e aveva riempito di gioielli antichi. Il resto della famiglia andò in America, ma Nina, affezionatissima al nonno, lo seguì. Arrivati a Londra il principe vendette i gioielli e acquistò un’automobile che sembrava un catafalco. Forse era una Rolls Royce, ma Nina non ricordava bene. Il principe divenne prima di tutto l’autista di "Caldecote Towers", il prestigioso collegio fatto costruire, cosí dicevano, da un nobile italiano alla fine del Settecento. Alla sua morte gli eredi s’affrettarono a venderlo a due professoresse universitarie, Miss Tete e Miss Tauner. Loro ne fecero un collegio tra i piú rinomati a quell’epoca in Inghilterra. Tutti gli insegnanti erano professori d’università.
Nina era sempre di buonumore. Raccontava un’infinità di episodi con tale spontaneità da ritenerli veri e con tanta fantasia da ritenerli falsi.
Alcune alunne del collegio, dicevano, furono accompagnate ad Ascott per assistere al corteo della pace, nella primavera del ’19. Sfilate di tutte le nazioni e il Principe di Galles, allora venticinquenne, che sorrideva a tutti e tutti ricambiavano il suo affascinante sorriso.
Le varie vicissitudini cambiarono molte cose. Tra l’altro, famiglie ricchissime furono ridotte se non in miseria non piú in condizioni di mantenere castelli, ville e domestici.
Delle tre zitelle una divenne direttrice della biblioteca del suo rione non lontano dalla City. Le altre, una amava i bambini e divenne la baby-sitter di varie famiglie ancora abbienti. La terza, che ricamava con abilità, passava giornate intere nei guardaroba di famiglie ancora benestanti.
La domenica, dunque, Connie, Joyce e Nina si trovavano nei loro piccoli alloggi a pianterreno.
Facendo delle economie durante la settimana, alla domenica sfoggiavano tazze di porcellana e di maiolica di fabbriche ormai scomparse, tovagliolini ricamati a mano, con tartine, come un tempo, preparate con burro, pasta d’acciughe e noci tritate finemente. Erano i tè di una volta, ai quali non volevano rinunciare.
Connie, dal suo panettiere, acquistava un plume-cake, che aveva proprio il sapore del tipico plume-cake.
Parlava soprattutto Nina, che aveva sempre argomenti che raccontava con viva verità. Fu proprio a lei che venne l’idea di lasciare Londra per vivere in Italia. Ricordava che, col nonno, non molti anni prima era andata a trovare alcuni amici a San Domenico di Fiesole. Una villa enorme, circondata da un parco con un’infinità di rose di tutti i colori che in maggio, a piena fioritura, sembrava magico.
«Ricordo ancora il nonno», disse Nina.
Si lasciarono alla fine della giornata con una speranza nuova.

***

Dopo poco piú di un mese abbandonarono la loro vita londinese e partirono per l’Italia. Si fermarono a dormire in un alberghetto vicino all’Arno, pulito, con vista incantevole sul fiume.
La mattina dopo s’incamminarono per Fiesole. Trovarono con facilità la villa che Nina ricordava. Era trasformata in alloggi di tre, quattro locali e nella portineria due alloggi con tutte le comodità, affittati a famiglie polacche. Decisero di affittare un piccolo alloggio. Poi scesero a Firenze a piedi, perché volevano calcolare in quanto tempo avrebbero raggiunto la città.
Il «Maggio musicale» era vicino. Volevano assistere ad almeno uno spettacolo. Tutt’e tre vestite di bianco sedevano in prima fila. Facevano una figura da lasciare tutti con occhi spalancati.
«Chi sono?», s’interrogavano gli spettatori modestamente vestiti.
«Non le ho mai viste», rispose un giovane non tanto sottovoce.
Non potevano permettersi piú di una serata, ma bastava per appagare le loro curiosità.
Anche il Ponte Vecchio, con tutte quelle botteghe caratteristiche, era una attrazione che a Londra non esisteva.
Alle «Giubbe Rosse» andavano verso mezzogiorno di domenica e sapevano che il caffè piú noto di Firenze era frequentato da scrittori, critici, che discutevano a voce alta, mentre bevevano l’aperitivo.
Una volta arrivò una sola zitella. Si sedette e ordinò una spremuta di pompelmo.
«Le altre due che fine hanno fatto?» udì dire Joyce, la quale avendo avuto la villa a Sanremo, conosceva qualche parola di italiano. Mezz’ora dopo arrivarono le altre due zitelle - cosí le avevano definite i fiorentini -. Seguendo la moda corrente sfoggiavano calzoni di colore sobrio, acquistati al mercato.
Se una domenica non le vedevano alle «Giubbe Rosse», qualcuno temeva che se ne fossero andate in un altro Caffè.
Le tre amiche erano diventate una istituzione per Firenze.
Il Ponte Vecchio era la loro meta preferita. Si fermavano a osservare gli oggetti esposti, qualche volta chiedevano il prezzo, ma raramente.
Pensarono che lasciando detto alle «Giubbe Rosse» che erano disposte a dare lezioni d’inglese qualche "alunno" sarebbe arrivato. Ne arrivarono quattro. L’inglese delle tre amiche era perfetto. Il professore di dizione del «Caldecote Towers» (ventisettenne, alto, con gli occhi azzurri e del quale tutte le alunne erano un po’ innamorate) usava dire: «This is the way to go to the station»; «One apple a day keeps doctor away»: «quando pronuncerete queste frasi vorrà dire che l’inglese non sarà piú un tabù per voi».
L’idea di dare lezioni d’inglese venne naturalmente a Nina.
Nel frattempo decisero di lasciare San Domenico di Fiesole e trovare un piacevole alloggio nel cuore di Firenze. Lo trovarono in Via Lamarmora. La vedova di un medico, primario oculista a Prato, viveva in un alloggio grande, perciò aveva deciso di affittare tre locali, una stanza da letto con due letti, un’altra con un divano letto. Un bagno luminoso dove in un angolo, vicino alla finestra, da un garzone estroso fecero mettere una presa elettrica per attaccare il bollitore per l’acqua del tè. Era il loro posto principale: tè con pane e marmellata.
                                          
<+G_CORSIVO>(1. continua)

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