Cultura e Spettacoli
Giovedì 25 Febbraio 2010
Quanta raffinatezza,
i nostri antenati...
Fibule cesellate, bracciali vitrei, gioielli e oggetti da lavoro: Marta Rapi ricostruisce, attraverso monili e materiali d'uso quotidiano, la seconda Età del Ferro comasco-insubrica.
Cocci di vaso, frammenti di bronzo, lame di ferro che affascinarono gli archeologi dell'Ottocento aprendo il sipario su una Como più antica di quella romana, ancora lontana dal lago, sono l'oggetto dell'undicesimo volume della collana «Archeologia dell'Italia Settentrionale»: "La seconda Età del Ferro nell'area di Como e dintorni. Materiali La Tène nelle collezioni del Civico Museo Archeologico Paolo Giovio". Ne è autrice Marta Rapi che pubblica reperti conservati nel Museo Civico di Como (perlopiù nei depositi) datati tra il IV e gli inizi del II sec. a. C., il periodo protostorico dello stanziamento di popolazioni celtiche della civiltà di La Tène (località svizzera presso Neuchâtel) che si innestarono sulle preesistenti popolazioni golasecchiane, la cui cultura materiale era quella di altre aree limitrofe che prende il nome dai ritrovamenti di Golasecca (Varese). Ruolo centrale per il territorio comense ebbero l'area della Spina Verde per gli insediamenti abitativi di Comum Oppidum sul versante occidentale e la dipendente area delle tombe della Ca' Morta tra Camerlata e la collina di Grandate.
Il testo, costruito attorno al catalogo scientifico dei materiali della seconda Età del Ferro, coincidente con la presenza di popolazioni galliche, offre uno stimolante inquadramento culturale e avanza interrogativi e proposte sul popolamento del territorio lariano, dell'alta Brianza e dei dintorni di Como in età preromana, registra la persistenza di tradizioni e di costumi desumibili dagli oggetti d'uso quotidiano, dagli ornamenti personali, dalle armi, evidenziando le novità introdotte dalla cultura di La Tène. Mancano ritrovamenti di abitazione fuori dei dintorni di Como: le sporadiche tombe rivelano però insediamenti più concentrati nelle vallate del versante idrografico orientale del Lario che su quello occidentale dove si segnalano solo la Val d'Intelvi e l'Alto Lario. Il confronto coi ritrovamenti del periodo precedente rivela una riduzione al minimo nell'importazione di ceramica greca dall'Attica e nella circolazione di oggetti etruschi in bronzo. In compenso la fascia alpina costituì un tramite fondamentale per gli scambi commerciali soprattutto nel settore lepontino, verso i passi del S. Bernardino e del S. Gottardo. Prova significativa sono le non rare iscrizioni su vasellame ceramico di lettere nell'alfabeto leponzio o di Lugano, derivato dall'alfabeto etrusco, di cui la stele di Prestino, che è più antica, conservata nel Museo Civico di Como è il principale monumento. Di più minuti oggetti si occupa l'indagine di Marta Rapi che si avvale di chiari disegni di rilievo. Fondamentali per l'abbigliamento erano i fermagli di sicurezza noti come fibule, di tipo maschile o femminile. I reperti svizzeri consentono di comprendere da dove derivino i modelli di alcune fibule trovate a Rondineto sulla Spina Verde, altri tipi di fibula comprovano la produzione e diffusione nell'area alpina attraverso le valli longitudinali come Valtellina e Valsugana. Modelli transalpini giungono nel Comasco con i bracciali in vetro alternativi a quelli in metallo, con una ricchissima varietà di tinte: oltre 20 toni di blu (dal cobalto all'oltremare), e ancora verdi, e porpora in gradazioni diverse. Con lo stesso materiale vitreo si producevano perle da collana, rinvenute a Casate fuori dalla convalle di Como e a Introbio in Valsassina, con utili confronti in Baviera. Altri interrogativi l'autrice avanza sui tipi di orecchini ticinesi e comaschi, dalla Valassina e dalla Valsassina. Diversi esempi di ganci da cintura a disco sono documentati in ritrovamenti della Valsassina, l'area dalla quale provengono perlopiù le armi (spade, lance, diversi tipi di umbone da scudo, rarissimi e prestigiosi elmi), tecnologicamente più avanzate, che seguivano gli impulsi della cultura La Tène, rispetto ad altri oggetti di corredo rimasti a lungo legati alla cultura golasecchiana.
Lo studio pone interrogativi sulla presenza di strumenti da lavoro o di cura personale come indici di costume. La diffusione dei falcetti non lascia dubbi sull'ambiente decisamente rurale. Per un oggetto d'uso comune come il coltello, la ricerca rende conto dei diversi tipi di impugnatura e di lama, proponendo dei raggruppamenti tipologici per aree. Ritrovamenti disomogenei di cesoie pongono interrogativi sul loro impiego che l'autrice propone di interpretare a servizio della tonsura del bestiame. Come interpretare invece l'esiguità del ritrovamento di rasoi? Prima dell'arrivo dei Romani la popolazione maschile che abitava queste terre si lasciava di norma crescere la barba come ci indica in genere anche l'iconografia romana dei barbari?
Nell'età considerata l'abitato protostorico non fu mai del tutto abbandonato, si registra infatti una continuità insediativa nelle abitazioni in camere in roccia già impiegate nel precedente periodo golasecchiano, per quanto altre aree già abitate in antico (Pianvalle, Casate) furono alla fine della seconda età del ferro utilizzate come sepolcreti. Dall'epoca degli scontri militari tra Insubri e Romani all'inizio del II secolo a. C. l'indagine archeologica verifica progressivi spostamenti insediativi verso la convalle di Como e verso la pianura brianzola con un pullulare di piccoli villaggi rurali, nelle aree cioé dove sarebbe avvenuta la romanizzazione. Purtroppo scoperte casuali e sporadiche hanno impedito ricostruzioni chiare e molte indagini sulle necropoli furono condotte con metodi non ancora scientifici. Tuttavia ritrovamenti importanti come quelli di Borgo Vico, ma isolati e lontani dall'abitato di Prestino, fanno propendere la studiosa per l'ipotesi di altri insediamenti abitativi finora sfuggiti al rilevamento archeologico. Alla luce delle affermazioni degli scrittori antichi come il geografo greco Strabone che valutava l'abitato di Como come un centro di grandezza media, Marta Rapi avanza il dubbio che la documentazione archeologica sia parziale e sottolinea la necessità di nuove indagini sul terreno, riconoscendone la difficoltà. Non manca una storia degli studi dall'Ottocento ad oggi che rileva diversità di atteggiamento in personalità come il Garovaglio e il Barelli, ma attesta il fondamentale ruolo culturale svolto dalla Società Archeologica Comense e dai Musei Civici di Como.
Marta Rapi, «La seconda Età del Ferro nell'area di Como e dintorni», Presentazione oggi alle 17.30, al Museo Giovio, in piazza Medaglie d'Oro. Ingresso libero.
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