Pirandello e la (sua) vita
Inquieto gioco delle parti

Conto alla rovescia per il festival Parolario di Como (28 agosto-12 settembre), che propone il libro di Collura in anteprima nazionale il 5 settembre alle 20.30. Ampio spazio anche al cinema. Ascolta l'intervista al curatore Mario Bianchi.

di Antonio Marino

«Tutto aveva avuto inizio e fine una notte in un albergo di Como». Il complesso, tormentato, ambiguo rapporto tra il vecchio Maestro e la giovane attrice Marta Abba è il nucleo centrale, la chiave e il cuore, dell'opera che, con il titolo "Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello", Matteo Collura dedica al geniale conterraneo. Qualcosa di più - come avverte giustamente il risvolto di copertina - di una nuova biografia. Piuttosto, un'esplorazione avvincente del labirinto pirandelliano, condotta con gioco sapiente sul doppio registro della vita e della produzione artistica, che non fanno che intersecarsi e riflettersi in un continuo rimando d'immagini, come in una galleria degli specchi.
Collura, nativo della stessa Girgenti che nutre Pirandello con gli umori di una sicilianità fatta di tragedia e di accanimento, di fatalismo e di paradosso, riesce a restituire alla grandezza del premio Nobel protagonista del teatro del Novecento una dimensione umana, che - molto pirandellianamente - è al tempo stesso dimensione letteraria, l'una indispensabile per comprendere l'altra. Vita e arte si mescolano e si rovesciano emblematicamente nel rapporto con la nipote di Giuseppe Cesare Abba, la bella Marta, l'attrice protagonista dell'opera, ma anche della vita del Maestro. Un rapporto che si definisce drammaticamente proprio in quella "notte atroce" passata in un albergo di Como, dove, durante una tournée della Compagnia del teatro dell'Arte, Pirandello cede a una tentazione che doveva dilaniarlo da tempo: quella di palesare, invano, a Marta un desiderio impossibile. «Era stata l'attrice a fare il primo passo - scrive Collura - a volersi donare a quell'uomo che tanto dimostrava di volerla aiutare e che tanto soffriva? Ed era stato lui, pirandellianamente (l'uomo vecchio che respinge la donna giovane e bella) a ritrarsi? Questa ipotesi non è altro, appunto, che una forzatura pirandelliana. Seguendo il criterio del verosimile, fra l'altro suggerito e - si potrebbe dire - documentato dalle lettere a Marta, non può che essere stato lui a chiederle quel che lei non avrebbe potuto dargli. Un lampo, ed era caduto in  tentazione: una debolezza che il suo amor proprio non gli avrebbe mai perdonato, un inciampo dei sensi che avrebbe insudiciato il suo pudore di uomo maturo, più che scuotere in lui l'orgoglio del maschio rifiutato».
Forse solo con il fantasma della moglie pazza, da anni rinchiusa in una casa di cura e ormai estranea all'autore de "Il berretto a sonagli", si comprende l'ossessione di una solitudine, alla quale solamente l'idolatrata immagine di quella Marta che al Maestro dà ostinatamente del lei, quasi a marcare una distanza che non deve essere superata, è capace di dare sollievo. Ma è un sollievo pieno di tormento. «La forzata castità - scrive l'autore - ne ha fatto un uomo infelice, un moralista ossessivo, tutto dedito all'Arte, all'edificazione del proprio monumento: il proprio, anche quando a essere illuminata dalle luci della ribalta sarebbe stata lei. Il forzato ripudio del sesso colora ogni sua opera, ogni sua azione privata. In questo Marta gli è compagna ideale, anche se non riesce a comprendere le evidenti contraddizioni nel vivere del Maestro, le sue assurde pretese. Ma cosa vorrebbe da lei quell'uomo? Che ne sia l'amante senza esserlo?».
Fortuna d'artista e sfortuna di uomo, il primo capace di scandagliare le sventure del secondo, di immergersi nelle sue tragedie e di trarne ispirazione per opere d'immortale grandezza, capaci quasi di sostituire la vita con l'arte. «Voi desiderate qualche mia nota biografica - scrive Pirandello in una lettera a Benjamin Cremieux - e io mi trovo assai imbarazzato a fornirvela e questo, mio caro amico, per la semplice ragione che ho dimenticato di vivere, l'ho dimenticato al punto da non saper dire niente, proprio niente, della mia vita. Potrei forse dirvi che non la vivo, ma che la scrivo. Di modo che se voi vorrete sapere qualcosa di me, potrei rispondervi: aspettate un po', mio caro Cremieux, che mi rivolga ai miei personaggi. Forse saranno in grado di fornirmi qualche informazione su me stesso». Proprio come uno dei "Sei personaggi in cerca d'autore", che portano sul palcoscenico della vita drammatiche vicende personali che solo un altro può cucire insieme dando loro un senso e una risposta. Ma c'è una differenza. Pirandello, giunto alla fine della sua vita  «non vorrebbe lasciare niente, nemmeno la più piccola traccia - scrive Collura -.  Ma sa che nessuno può a tal punto essere padrone di se stesso da far sparire assieme al proprio corpo, alla carne e alle ossa, tutto quanto ha scritto, se ciò che ha scritto appartiene alla letteratura». E così, nelle sue opere noi ritroviamo oggi Pirandello. Autore e uomo del quale Matteo Collura ha saputo, al di là di ogni cervellotica interpretazione, tracciare una descrizione che ha il fascino dell'avventura più grande: quella della vita.

 

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