Neri: "Recito un dramma
che ho conosciuto bene"

Francesca Neri, attrice e produttrice, è la convincente protagonista di "Una sconfinata giovinezza", il film di Avati che racconta la malattia dell'Alzheimer. La pellicola sta riscuotendo successo di pubblico, mentre i critici riconoscono alla Neri un'intensità da applauso.

di Francesco Mannoni

Grande prova d'attrice quella di Francesca Neri nel nuovo film di Pupi Avati, "Una sconfinata giovinezza", nelle sale con successo da una settimana, che la promuove come una delle più sensibili interpreti del cinema italiano contemporaneo.
Lino (Fabrizio Bentivoglio) giornalista sportivo e Chicca, sua moglie, docente di filologia medievale, sono sposati da venticinque anni e si amano come il primo giorno. Non hanno figli ma hanno superato quel cruccio,  quando, in modo del tutto imprevisto, Lino comincia a non essere più lo stesso. Dimentica le cose, le parole più semplici, finché un medico non gli diagnostica l'Alzheimer, il male regressivo che lo porterà sempre più indietro nel tempo, a riacquistare la mente del bambino riemersa nel fisico di un adulto.

Signora Neri, come si è preparata a questo ruolo?

«La preparazione - spiega l'attrice, capelli biondi e lisci, fisico sottile, teneri occhi di gazzella e una grazia semplice e cortese che fanno pensare alla ragazza della porta accanto - è stata più emotiva che scientifica, perché in una storia così, l'approccio deve essere di cuore, essendo l'amore la miglior terapia. Ovviamente ho letto un paio di libri per caso, ma per noi attori  è importante un regista come Pupi Avati che ci costruisce addosso il personaggio dandoci talmente tanti dettagli, sia fisici che emotivi, sia di luogo che di tempo, che un'attrice è già il personaggio che deve interpretare da quando inizia a leggere il copione. Io ero già Chicca quando sono arrivata sul set, dopo aver maturato dentro di me un'intensità emotiva che mi portava ad essere Chicca e basta».

Chicca è una donna coraggiosa che non vuole abbandonare il marito. Esperienze vere in merito?

Personalmente  ho un'esperienza di questa terribile malattia con mia nonna, che di questo male è stata vittima, e benché quel fatto mi abbia insegnato molto, debbo dire che da questo film ho appreso molto di più che dall'esperienza diretta.

C'è una scena, un momento del film che le è particolarmente caro?

Sicuramente la scena in cui Lino per la regressione del male torna bambino e in qualche modo torna bambina anche lei  accettando di giocare al gioco che lui faceva da piccolo. Chicca si rende conto che il suo uomo che regredisce verso l'infanzia finisce col diventare per lei il figlio che non ha mai avuto. È una scena molto poetica, la trasformazione dell'amore coniugale in amore materno. Questa sensazione che Chicca sente crescere in lei attraverso la vicinanza al marito sofferente, in qualche modo le fa ritrovare  in lui quel figlio che non ha mai avuto.

In questo film appare invecchiata. La preoccupava questo fatto?

L'aspetto fisico non mi preoccupava  perché si trattava di un ostacolo superabile facilmente: la preoccupazione più grande era quella di essere credibile nell'invecchiamento. Trucco e abbigliamento hanno operato esteriormente, ma la trasformazione più radicale è stata interna, il pormi nei confronti della vita in una maniera più composta, più matura.

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