Una Terragni a New York
"Qui c'è libertà e rispetto"

Insegna al City College ed è oggi tra i protagonisti della Biennale di Venezia: incontro negli Usa con la discendente del progettista della Casa del fascio

Elisabetta Terragni si divide tra lo studio di Como e il City College di New York dove insegna progettazione e laboratorio. L'architetto e professore della prestigiosa università pubblica di Harlem predilige le strutture dismesse, gli spazi in divenire e i luoghi del riutilizzo virtuoso intrisi di memoria e levità. Nel Padiglione italiano della Biennale di Architettura di Venezia, diretta da Kazuyo Sejima, troviamo il progetto delle Gallerie di Piedicastello (Trento) curato dallo Studio Terragni Architetti con Jeffrey Schnapp della Stanford University, la Filmwork di Trento e Gruppe Gutt per la grafica su incarico della Fondazione Museo Storico del Trentino. L'esperimento della trasformazione della struttura dismessa in uno spazio culturale è stato presentato con successo alla Columbia University e ha destato l'interesse della municipalità di New York. Elisabetta Terragni ha incontrato sulla High Line amici e colleghi nell'ambito del recente viaggio di studio organizzato dall'ordine degli architetti di Como. Il parco urbano sopraelevato della ferrovia dismessa è uno dei luoghi di New York che più ama.  
Professoressa Terragni, come divide la sua vita fra Como e New York?
Per poter vivere in due città lontane non posso permettermi il lusso di perdere tempo. Il mio calendario a New York è scandito dall'insegnamento al City College di Harlem dove sono professore associato di progettazione e laboratorio. Tutti i giorni mi collego con Skype con i colleghi del mio studio di Como da tempo impegnato in progetti e collaborazioni anche al di fuori dell'Italia.
Quale clima si respira oggi a New York?
La città soffre ancora la crisi da cui è stata colpita due anni fa quando sono arrivata. Insegnare a New York è un'esperienza bellissima. Harlem è un quartiere completamente rinnovato e il City College accoglie una prima generazione di studenti residenti provenienti da paesi di tutto il mondo. Mi confronto con un modo di insegnare diverso che non soffre dei problemi della scuola pubblica in Italia. C'è grande rispetto per i professori ai quali si chiede molto in termini di presenza e si lavora con un numero limitato di studenti che permette di seguirli meglio.
Quali strategia adotta nel scegliere i progetti da seguire?
Il progetto fatto a metà non esiste, meglio realizzarlo in modo diverso, ma portarlo a termine. Ho adottato il metodo americano anche nel lavoro in studio dove sperimentiamo con molta disciplina, ma vediamo quanto tempo possiamo dedicare a ogni singolo progetto. Mi interessa il risultato anche dal punto di vista della ricerca. 
Quali sono gli ultimi sviluppi del progetto delle Gallerie di Trento ora esposto alla Biennale di Architettura di Venezia?
L'esperimento di riqualificazione in uno spazio espositivo dedicato alla storia  rappresenta la restituzione di una zona urbana che vede come ultima fase la nascita di due spazi verdi in una culla di asfalto. Abbiamo proposto di fare a nord delle gallerie un giardino alpino e a sud un giardino mediterraneo per ricucire due punti di città che il tunnel ha diviso.
Che opinione ha della High Line di New York?
È un intervento urbano straordinario che ha il pregio di far emergere il passato in luogo collettivo. Il parco è  stato realizzato per custodire la memoria di quello che c'era.   
Quali sono i temi ricorrenti dei suoi progetti? 
Sono interessata a tutti gli spazi delicati e di transizione. Non amo impormi con masse troppo pesanti e prediligo i temi della leggerezza e della memoria.
A quale progetto si sta dedicando ora?
Sto lavorando in Albania ad un'altra esperienza sulla trasformazione di un tunnel nel mare che è in una base militare. Al momento siamo nella fase di ricerca condotta con storici, archeologi e altri consulenti.
Quale è la sua New York?
La mia New York è il Greenwich Village dove vivo in una casa minuscola con un piccolo giardino. È un posto tranquillo dove amo stare per poi uscire nella confusione della città. Mi piace Harlem e il City College dove sono impegnata anche nella conduzione della scuola e sto facendo ricerca e scrivendo per diventare in tempi brevi professore ordinario. Il bello di New York è quello di poter girare in lungo e in largo la città a qualsiasi ora con i mezzi pubblici. A me piace vivere e lavorare nelle  grandi città dove si hanno moltissimi contatti.  
Quale futuro immagina per l'archivio Terragni?
Il suo destino è quello di essere un patrimonio pubblico aperto alla consultazione. L'archivio dell'opera di Giuseppe Terragni non appartiene solo a Como, ma al mondo intero. A proposito della Casa del Fascio come sede, non credo che il punto della questione sia questo ma la volontà di mettere insieme le forze per fare vivere l'archivio che necessita di continue risorse e cure.

Stefania Briccola

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