Rivive la Resistenza dimenticata

Ecco il diario di uno dei 615 mila militari internati dai tedeschi dall'8 settembre '43

Lunedì 29 novembre alle 20.45 in biblioteca comunale di Como sarà presentato il «Diario della mia prigionia» di Giovanni Ostinelli, nel contesto un incontro su «Comaschi nei lager nazisti» organizzato da Azione Cattolica, Meic, Uciim e parrocchia S. Agata di Como.  All'iniziativa introdotta dal professor Abele Dell'Orto, interverranno i relatori Guido Formigoni ordinario di Storia Contemporanea all'Università Iulm di Milano e Giorgio Vecchio ordinario  di Storia Contemporanea all'Università degli studi di Parma e curatore del libro



La notizia dell'armistizio dell'8 settembre 1943, diffusa nello stesso pomeriggio di quel giorno da Radio New York, era inizialmente risuonata come la conclusione di un incubo, come l'attesissima fine della guerra. Ma è noto che la vicenda non andò così e che il predominante sentimento che aveva fatto immaginare un collettivo abbandono di armi, divise e caserme in vista di un "ritorno a casa", si  rivelò atrocemente illusorio per migliaia di soldati  italiani bloccati dall'intervento dei tedeschi che fecero tempestivamente scattare l' "operazione Achse".
Di quel buio periodo, non meno doloroso e drammatico rispetto all'intero evento bellico, restano alcuni contorni ancora sfumati specialmente attorno alle vicende dei soldati italiani che, in concomitanza con l'inizio della Resistenza nata dall'attivarsi di gruppi armati prima ancora che da un fenomeno politico, vengono trasferiti verso i campi di concentramento situati in tutto il territorio del Reich.
Su questa deportazione compiuta con metodi particolarmente brutali e sulla condizione di prigionia che ha accomunato circa 615.000 militari italiani catturati dai tedeschi nel settembre del 1943, si schiude oggi uno scenario particolarmente vivido grazie alla pubblicazione di una documentazione inedita. Si tratta del diario di Giovanni Ostinelli, comasco partito il 20 luglio 1943 per l'isola di Brioni, di fronte a Pola, destinato a un Corso per ufficiali di Complemento nella Marina, che all'indomani dell'8 settembre rifiutò di porsi al servizio del nazismo. Accompagnato dalla pesante etichetta di "traditore", fu quindi  classificato fra gli IMI, Internati Militari Italiani, secondo la decisione di Hitler di sostituire così la qualifica di "prigionieri di guerra".
Il suo "Diario della mia prigionia (1943-1945)" (a cura di G.Vecchio, Studium, 184 pag., 15,90 euro.), pubblicato da Edizioni Studium Roma, è stato curato da Giorgio Vecchio, professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università di Parma, che ha delineato una cornice importante attorno alla preziosa testimonianza di Ostinelli, inquadrata nel contesto di provenienza da una famiglia del mondo imprenditoriale di Como - suo padre aveva avviato una piccola industria serica - nella quale aveva sempre respirato una forte coesione e il radicamento nella fede cattolica e nei suoi valori. Significativa è soprattutto la chiave di lettura offerta dallo studioso nelle pagine introduttive che consentono di collegare una vicenda particolare, quella che scorre nel diario come racconto di circostanze precise e personali, con un più ampio contesto che  documenta una condizione disumana tradotta in dure privazioni, fame, freddo, trasferte di soldati ammassati su carri ferroviari adibiti di regola al bestiame o nelle stive delle navi, aggravata da un insopportabile carico di disprezzo, di odio, brutalità. «Nel complesso, circa 40.000-45.000 IMI non torneranno più a casa, uccisi dall'inedia o dalle malattie... vittime dei bombardamenti o dei combattimenti, altri ancora semplicemente assassinati» nota Vecchio sottolineando che il libro riapre «una pagina importante della storia dell'Italia contemporanea e della Resistenza ed è stato un grave errore l'averla sottovalutata e dimenticata per tanti, troppi anni». Una sorta di rimozione collettiva, un senso di stanchezza e di repulsa verso tutto ciò che ricorda una guerra tanto tragica», sempre secondo lo studioso, ha gettato un velo di dimenticanza sulla vicenda dei prigionieri di guerra nella Germania nazista, che pure oggi rivela risvolti di notevole interesse. Suscita indubbia attenzione, per esempio, la segnalazione di angherie nei confronti degli italiani messe in atto in forme quanto mai agguerrite e violente dai francesi: «Cominciai allora a convincermi che la tanto deprecata barbarie germanica non era solo germanica, e che gli strombazzatori di Liberté, fraternité non ricusavano di scagliarsi con rabbiosa inciviltà contro chi essi stessi avevano dichiarato incivile» nota con amarezza Ostinelli che, trattenendosi dal cadere nella stessa spirale vendicativa anche temendo ulteriori ritorsioni, si astenne da imprecazioni lasciando in bianco alcune righe del suo diario. Ma il tratto più significativo e per certi versi illuminante della sua testimonianza riguarda le espressioni di umanità e di fratellanza che irrompono come una gratuita sorpresa, quasi l'altra faccia di una realtà paradossale che di fronte al male estremo, al radicale abbrutimento, esige il potente contraccolpo di un bene e di un amore incommensurabile. L'esperienza di fede, vitale e mai soffocata dalla circostanza negativa e buia, riaffermata in una contemplazione che a volte sembra di sentir riecheggiare nella recita di una preghiera, attraversa ogni pagina del diario. E suggerisce una straordinaria unità fra gli anni dell'entusiasmo giovanile e ingenuo e il tempo della maturità, il tempo della storia.

Laura D'Incalci

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