La provincia vince,
solo se si fa leggere

Vitali, in classifica con "Il meccanico Landu" (Garzanti), guida la volata dei narratori che traggono ispirazione dal "mondo piccolo". Però, come rileva lo scrittore Mario Schiani, questa dimensione narrativa esiste ormai solo nelle pagine dei libri. Perché la città, con le sue storie, i suoi ritmi, i suoi personaggi si impone ormai a 360°.

di Mario Schiani

Dov'è andata a rifugiarsi la provincia? Meglio: è ancora provincia ciò che vediamo intorno a noi? Di provincia, questo è certo, ancora tanta ne troviamo in letteratura. Non perché la letteratura sia "provinciale", parola storpiata dall'intonazione snob di chi ha pochi argomenti; piuttosto, perché alla provincia la letteratura spesso attinge, in cerca di personaggi, trame, piccoli mondi inscrivibili in un tratto di penna.
La città, poco si adatta. Sfugge, diventa un limbo anonimo nel quale anche i personaggi si stemperano, soffrono di anemia, tanto che, non raramente, è proprio in provincia che gli scrittori li mandano a rimettersi. La provincia, in questo, è fertile: fioriscono personaggi come sbuffi di malva. Ognuno con la sua distorsione caratteriale: l'occhio rapace, il labbro sensuale, la curiosità piratesca, l'avidità strisciante.
Andrea Vitali nel romanzo "Il meccanico Landru" ne schiera in quantità, di personaggi, forse come mai aveva fatto: capistazione, parroci, segretari del Partito fascista, signorine piacenti e meno piacenti, segretarie, carabinieri, perpetue, ingegneri, avvocati, medici e perdigiorno. La mappa di Bellano, luogo eterno dello scrittore, è interamente coperta di spilli e i personaggi, agli ordini dell'infallibile direttore d'orchestra, procedono alla conquista dei loro piccoli interessi, si piegano all'insorgenza delle voglie e delle ossessioni, si scontrano e si blandiscono, ognuno padrone solo un frammento che andrà infine a comporre il quadro del romanzo.
E però quadro, appunto. E non fotografia. Perché la Bellano di Vitali, si sa, è quella degli anni Venti e Trenta, i decenni per così dire "rigogliosi" del fascismo il quale, con la sua retorica dell'ardimento, affolla il paese di personaggi buffi nella loro pretesa d'autorità, impastati in un orgoglio meschino, prigionieri di una vanità da caricatura femminile sotto la maschera del machismo più tonante. E soprattutto, il salto temporale di ottanta-novanta anni garantisce a Vitali che la sua provincia sia ancora provincia. Cioè un luogo, per intenderci, staccato da ogni altro, bastante a se stesso. Vicino, perché certo non può permettersi alcun esotismo, eppure lontano abbastanza da imporre lo sforzo di raggiungerlo.
Occorreva, per arrivarci, affidarsi almeno a una corriera; meglio ancora, un treno. Le persone in cerca di provincia, infatti, scendevano, intirizzite o accaldate a seconda della stagione, ma sempre sfinite, da treni a lunga gittata e bassa velocità, ansimanti, per ritrovarsi in mondi inesplorati che a priori li escludevano da intesi e, soprattutto, sottintesi, di natura squisitamente locale. Sbirciando oltre le persiane chiuse, i visitatori dovevano imparare un nuovo linguaggio e armarsi in fretta delle conoscenze indispensabili a muoversi tra i cristalli delle convenzioni provinciali così come fa, determinatissimo, l'Emerenziano Paronzini della "Spartizione" di Piero Chiara, salvo rimaner a sua volta stritolato dall'arrembante maldicenza luinese.
La provincia, addirittura, era un concetto talmente pervasivo da arrivare a invadere la città. Georges Simenon, autore strepitosamente provinciale, volle importarla perfino a Parigi, offrendo alla curiosità del suo Maigret una metropoli apparentemente tentacolare, infinita, in realtà composta, come un mosaico, da tante piccole province accostate l'una all'altra. Ogni inchiesta del commissario ne scopriva una e una soltanto: la Parigi dei grandi alberghi, quella dei mercati rionali, delle portinerie, degli ultimi aristocratici, delle pensioni equivoche, delle aziende a conduzione familiare, della malavita locale, delle bambinaie e dei giovani timidi e via raccontando. Ognuna integrata nel corpo immenso della capitale francese e tuttavia perfettamente autosufficiente. Al contrario, oggi è la città a invadere la provincia, a cancellarne i confini e a eliminarne le distanze. Il navigatore satellitare del Suv in due svolte e in un "a trecento metri girare a sinistra" ci conduce attraverso una piattaforma delimitata da confini solo virtuali: superarli non significa più respirare altra aria, confrontarsi con altri pensieri, investigare in altri, segretissimi mondi. I confini sono amministrativi: indicano dove finisce la competenza (o l'incompetenza) di un comune e incomincia quella di un altro. Quale letteratura si possa adattare a tutto ciò ancora, credo, non si è scoperto.
Resta, rigogliosamente letteraria, la provincia di una volta, il "mondo piccolo" nel quale lo scrittore riesce ancora a imporre la sua volontà assoluta. Come si vede, trattasi non più di esplorazione sociale e umana (lontani, isolati nel tempo e negli usi, i personaggi tradiscono qualche volta i movimenti meccanici delle marionette), ma di nostalgia narrativa e, per chi legge, anche di fuga e rifugio: fuga da un contesto presente del tutto illeggibile e rifugio in un circondario riconoscibile, sia pure soltanto attraverso il filtro della memoria.
Vitali, naturalmente, in questo è maestro, tanto da essere riuscito a ricostruire  un paese non solo pietra su pietra ma anche sentimento su sentimento, e la lettura del "Meccanico Landru", come quella di tutti i suoi romanzi, è finemente gradevole, nonché nostalgicamente appagante.
Quanto alla "nuova" provincia, se mai esiste, la letteratura deve ancora identificarla, perché se gli schemi narrativi buoni a rievocare i borghi d'un tempo sono ormai più che collaudati, quelli necessari a scavare nel presente ancora nessuno li conosce e men che meno li padroneggia. Non che per questo ci si debba rinunciare: impostiamo il navigatore del Suv, da qualche parte ci porterà.

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