I recenti ripetuti attacchi alla comunità copta in Egitto sembrano rappresentare bene quello scontro di culture e civiltà che é uno dei più grandi timori e rischi del mondo post-guerra fredda. Ma gli avvenimenti di queste ultime settimane in Egitto si spiegano davvero interamente con l'odio religioso? E perché proprio i copti nel mirino dei terroristi? E perché ora i copti sono in collera contro Mubarak?
Ragionare in termini di semplici blocchi religiosi contrapposti, cristiani contro musulmani, è esattamente la reazione che vogliono suscitare i fondamentalisti, abili manipolatori della mitologia moderna dello choc delle culture.
È innegabile che se i copti sono da qualche mese nel mirino del terrorismo, è perché sono cristiani. Ma farne la sola e unica spiegazione sarebbe quantomeno riduttivo. Peraltro, la responsabilità degli attentati egiziani resta quantomeno controversa.
L'attentato alla cattedrale di Bagdad in ottobre era stato immediatamente rivendicato da quell'entità nebulosa e cangiante che é Al Qaeda. In novembre, dopo lo scandalo della supposta detenzione delle due neo-convertite all'Islam, organizzazioni estremiste islamiche avevano minacciato apertamente la comunità copta. Se veramente il responsabile è il terrorismo islamico internazionale, chiaro è che nel mirino ci deve essere un obiettivo che non sia solo "occasionalmente" sensibile, ma abbia un altissimo valore simbolico agli occhi dell'opinione internazionale. La comunità sciita per esempio è continuamente vittima di atti di violenza, ma se ne parla molto meno e per il pubblico internazionale è un soggetto meno sensibile. Colpire una comunità cristiana in Medio Oriente invece, che sia in Egitto, o in Iraq o altrove, garantisce l'immediata e globale risonanza mediatica, focalizza il dibattito internazionale sullo scontro interreligioso, destabilizza l'ordine costituito, insinua i dubbi e le paure che sono, per definizione, il fine primo di ogni atto terroristico. La Costituzione egiziana prevede il rispetto delle minoranze e la libertà di culto.
La comunità copta egiziana è una delle comunità cristiane orientali più importanti e più numerose, ed è allo stesso tempo profondamente radicata nel tessuto sociale egiziano e esplicitamente legata allo Stato: i copti costituiscono il 10% della popolazione e in passato hanno fornito all'Egitto alcune delle personalità politiche più importanti. Ma recentemente una crescente discriminazione li allontana di fatto dalle funzioni pubbliche. Prova ne siano le ultime elezioni legislative: su 518 deputati in Parlamento solo dieci sono copti (di cui peraltro tre realmente eletti e sette nominati da Mubarak). Una situazione estremamente tesa e delicata in cui Mubarak aveva promesso attenzione e protezione alla comunità, soprattutto dopo le minacce dell'autunno. Ma allora, come è stato possibile un avvenimento come quello della notte di Natale?
Per questo la collera della comunità copta si è scatenata, fortissima, contro il governo di Mubarak. Che non ha saputo - o voluto - assicurare loro la protezione necessaria. Che non è in grado di salvaguardare quella società multi confessionale che è l'Egitto moderno, già fiera patria della Nahda, l'Illuminismo islamico, e oggi vicina al collasso sociale che fece il dramma di Beirut 1975. Ma c'è dell'altro. Le elezioni di settembre 2011 si avvicinano: il piano di Mubarak di una successione nella persona del figlio non piace alla comunità copta, ma non piace neanche all'esercito. Quanto alla forza votante del paese, i giovani sono piegati dalla disoccupazione e non hanno conosciuto altro regime che quello di Mubarak (al governo del Paese dall'81): una situazione ideale per manipolare la società civile. Non é un caso se un conflitto a colorazione religiosa scoppia a pochi mesi dalle elezioni. La tensione religiosa non è, in Egitto come altrove, fine a se stessa: ha sempre un risvolto sociale. Cosi come la religione, l'odio religioso è la più facile delle armi politiche, la materia ideale di ogni manipolazione ideologica.
Il vero scontro non è fra blocchi religiosi, bensì fra fondamentalisti (islamici e cristiani, per diverse ragioni in rotta col potere e per diverse ragioni favorevoli a provocare tensioni e crisi) e moderati. Una delle battaglie della modernità e della democrazia è, non si smette di ripeterlo, la separazione fra religione e politica. Una distinzione capitale, che è bene tener presente non solo per risolvere, ma all'origine, per analizzare e capire la situazione geopolitica attuale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA