Alla ricerca di un'identità
nella terra tra due fari

Nella nuova raccolta di poesie di Pietro Berra un viaggio metaforico tra San Maurizio e Santa Maria di Leuca, estremità della penisola - Il libro verrà presentato lunedì 21 marzo alle 19.15 nel foyer Teatro Sociale di Como con un recital

L'incontro tra due terre, distanti tra loro, ma come riunite in una sorta di ideale sentimento, è sempre stato al centro della poesia e dei progetti culturali di Pietro Berra, che negli ultimi anni ha deciso di "identificare" in maniera più marcata l'incontro tra il Lario e il Salento. Vi aveva dedicato due anni fa proprio una rassegna di incontri ed eventi tesi a mettere in luce le frequenti analogie e contaminazioni reciproche via via riscontrabili nel tempo. E c'è un'immagine che li accomuna, quella del "faro", anzi dei due fari, quello di San Maurizio, in cima alla collina di Brunate che sovrasta Como, e quello di Santa Maria di Leuca, al limite estremo del Tacco. Berra lo ritiene «una suggestiva specularità che apre e chiude lo Stivale, quasi a sottolinearne l'unità culturale, pur nelle mille differenze. A San Maurizio, faro celebrativo costruito a 910 metri di altitudine per omaggiare Alessandro Volta che a Brunate trascorse l'infanzia, si sale da una scalinata e, giunti in cima, lo sguardo spazia fin oltre il confine con la Confederazione Elvetica. A Santa Maria di Leuca il faro è inaccessibile, zona militare che dipende dalla Marina di Taranto, perché da lassù si tengono d'occhio i confini invisibili che separano l'Italia dai paesi del Mediterraneo. E scendendo una maestosa scalinata di ben 300 scalini si arriva al mare».
Ora questa "vicinanza" Berra l'ha raccontata in versi, in una bella e intensa raccolta, dove il sentimento evolve e trasfigura il paesaggio, ripreso in una totale e domestica quotidianità, che si intitola appunto "Terre tra due fari" (60 pag, 10 euro), edita da LietoColle libri, con in copertina le fotografie di Elio Scarciglia, fotografo e documentarista salentino, parte attiva del progetto "Terra tra due fari", un work in progress che si comporrà anche di una mostra fotografica e di un video.
Si tratta di un viaggio reale e metaforico, di partenze e di arrivi, quasi un "diario" in movimento nel paesaggio quello che ci presenta Pietro Berra, in cui l'intensità del sentire nasconde anche una profonda necessità di coscienza civile. Del resto anche il sottotitolo parla di «un piccolo viaggio in Italia», una attraversata della Penisola per trovare una sorta di doppio che si innesta in un altro paesaggio, come dice il poeta nella poesia che porta appunto il titolo "Fari": «Aveva attraversato lo Stivale- / millecentosettanta chilometri/ secondo "il navigatore" - per trovare/ un altro faro, un'altra scalinata.»
Scrive Giampiero Neri nell'introduzione: «Non per niente Berra è andato ad abitare sulla montagna di Brunate, dove si trova il faro voltiano di San Maurizio che gli ricorda l'altro faro importante della sua vita, quello di Santa Maria di Leuca, nelle Puglie. Tracciando una linea ideale fra i due, si percorre quasi tutta l'Italia e si citano i nomi delle città e dei paesi che si incontrano sulla strada. Queste poesie ne riflettono alternandosi pensieri e passioni, motivi di amarezza, di polemica e motivi di orgoglio, che sono diventati anche i temi della sua ricerca espressiva, della sua poesia.»
E abbiamo luoghi diversi da una Bologna Centrale con il ricordo della strage alla Stazione, il Salento dove «il vento arriccia le rocce/ capelli biondi di ragazze / lasciate dai Normanni» e dove «puoi inseguire la luna/ di Bodini per una notte intera/ in questa penisola al quadrato/ dove il giorno è più azzurro/ e la notte più nera». C'è l'antico rito della terra d'Otranto, ma Berra dedica anche varie "sequenze" poetiche alla terra lombarda, passando dall'indignazione per il "muro vista lago" a Como, fino al ricordo di un Fellini che sale in funicolare da Como a Brunate in cerca di una villa dove ambientare una lussuosa casa di riposo, per chiudere sull'immagine di un "Paradiso" lariano, in cui il poeta dice di non aver mai visto il Paradiso terrestre ma di sapere «che dietro l'ultimo dei monti/ abbracciati al lago/ c'è Chiavenna dei poeti. E aspetto/ da un momento all'altro/ Leonardo che buca l'orizzonte/ sul suo pensiero alato/ e plana nel retropalco/ dell'ultima cena/ all'abbazia di Piona».
Il tutto nasce da un desiderio profondo del poeta, quello di "farsi abitare" dai luoghi, per trovare in loro una parte di sé, quasi la propria forma in relazione ai luoghi che diventano "presenze" e "sentimenti". Lo dice in una poesia, tra le più intense della raccolta: «Farsi abitare dai luoghi,/ dalle case, dalle persone…/ e quando se ne vanno, / trovarsi la loro impronta/ scavata nello stomaco,/ come sul divano della sala/ che non ci decidiamo mai a cambiare».

Fulvio Panzeri

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