Un candido manto di chiese
che racconta la sua storia

In un volume di Roberto Cassinelli e Paolo Piva i capolavori lombardi
e la ricostruzione delle loro trasformazioni e di quelle del territorio

Un candido manto di chiese che racconta la sua storia
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Sono secoli che gli occhi di pietra dell'angelo sullo stipite del portale di San Fedele guardano i passanti. E non c'è passante che non ricambi quello sguardo, che non subisca – pur nel convulso ritmo della vita attuale – il fascino di una delle opere d'arte più suggestive che la città possa offrire. Del resto, è l'intera basilica di San Fedele, gioiello romanico, a esercitare una suggestione che è difficile descrivere. La sua storia, anche se non la si conosce, agisce oscuramente sulla sensibilità dello spettatore, ne cattura l'attenzione. Serafino Balestra, restauratore di Sant'Abbondio, sostenne che qui nel 1881 furono rinvenuti i resti non soltanto di una basilica preesistente, ma addirittura di un tempio a Giove di epoca romana. Ed è certo che prima della dedicazione al martire Fedele, ucciso ai tempi di Diocleziano presso Samolaco, in territorio di Chiavenna, l'edificio sacro era dedicato a Sant'Eufemia, a testimonianza di quanto profonda sia la traccia lasciata dallo scisma dei Tre Capitoli che vide Como (con Milano e Aquileia) contrapporsi al papa di Roma. La costruzione della basilica, i suoi rifacimenti, i suoi restauri, il misterioso sviluppo di una planimetria complessa e inconsueta, insieme a immagini di grande efficacia sono oggetto, insieme a quelli di una lunga serie di altri capolavori architettonici, di un volume curato da Roberto Cassinelli e Paolo Piva e dedicato a “Lombardia romanica. I grandi cantieri”. L'opera, inserita nel progetto “Patrimonio” di Jaca Book, descrive con accuratezza scientifica una lunga serie di monumenti romanici disseminati nella nostra regione e le loro vicende lungo la storia, offrendo al lettore un ideale aggiornamento della monumentale catalogazione realizzata fra il 1915 e il 1917 dallo storico dell'arte americano Arthur Kingsley Porter. Ognuno di questi capolavori ha molto da raccontare delle proprie vicende e  di quelle del territorio che lo ospita, sicché la lettura del volume non presenta soltanto una ricognizione morfologica di edifici di enorme pregio artistico, ma anche un ampio excursus su come, attraverso quali cambiamenti e restauri, e per opera di chi sono giunti fino a noi.

Tornando a San Fedele, lo studio cita la ricostruzione di Rocchi, che dà una spiegazione dei rapporti della basilica con il battistero di San Giovanni in Atrio (di fronte alla basilica, inglobato oggi in un edificio) con il quale era probabilmente collegato in origine da un portico che attraversava l'intera piazza attuale, e con San Pietro in Atrio, edifico sacro che configurava forse una “cattedrale doppia”. Prendendo in considerazione la basilica di San Vincenzo e il battistero di Galliano, a Cantù, è la figura del “custos” della chiesa Ariberto da Intimiano, poi vescovo di Milano, che ne promosse la ricostruzione fra il 1004 e il 1007, che si staglia nel testo con i suoi progetti e i suoi sogni. “Ariberto – si legge in questo capitolo – si distingue per l'attenta, calibrata strategia di committente di opere d'arte, di cui la basilica costituisce la prima, essenziale tappa nel quadro di un coerente e serrato processo di accreditamento verso le alte gerarchie ecclesiastiche e la casa imperiale, che culminerà con l'ascesa alla cattedra ambrosiana”. Naturalmente, l'approfondimento sistematico delle modalità costruttive (un altro volume sarà dedicato alle testimonianze diffuse sul territorio) è strumento indispensabile per poter apprezzare ognuno dei monumenti presi in esame e distinguerne le caratteristiche che ne riassumono i caratteri compresi nel termine “romanico”. Insieme a Milano e Pavia, Como annovera diversi esempi di questo stile affascinante che l'opera prende in esame: da Sant'Abbondio (indicato nel libro con l'antica grafia di Sant'Abondio), ai già citati San Fedele e Galliano, a Santa Maria del Tiglio e San Vincenzo a Gravedona. Testimoni, ognuno, di una vicenda di fede e di arte che traccia una rete di ideale continuità da Santa Maria Maggiore di Lomello all'abbazia di Polirone a San Benedetto Po, alla rotonda di Santa Maria a Brescia al complesso di Arsago Seprio. Il filo che unisce questi capisaldi è “quel momento aurorale della cultura a raggio europeo che corrisponde ai primi due secoli dopo il Mille e che vede, oltre all'affermarsi di un nuovo e originale liguaggio architettonico, la nascita delle lingue romanze”. Un'eredità che ci consente di riandare anche oggi a quel tempo in cui, come scrisse il cronista Rodolfo il Glabro, “era come se il mondo si fosse scosso e, liberandosi della sua vecchiaia, si fosse rivestito di un candido manto di chiese”.

 

Antonio Marino

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