
Cultura e Spettacoli
Giovedì 17 Marzo 2011
Il Risorgimento narrato
dal "Corriere del Lario"
I giornali tendevano a nascondere le notizie relative ai Mille e a Garibaldi per non farle leggere al nemico austriaco. Un libro le ha raccolte e analizzate: numerosi i riferimenti al Comasco.

Centocinquanta anni si sentono, eccome. Si sentono nel cambiamento di tanti modi di fare, ma soprattutto nel modo di pensare e agire quando c'è in ballo qualcosa di grosso come la salvezza del Paese, per esempio. Lo storico Andrea Aveto si è preso la briga di raccogliere in un libro articoli di quotidiani, periodici e scritti di Cavour, Mazzini, Garibaldi e perfino di Alexandre Dumas padre sul periodo che portò alla conquista dell'Unità d'Italia. In questo libro ci sono anche diverse parti tratte da documenti storici di figure e fatti comaschi e varesini.
"Cronache dell'Unità d'Italia - Articoli e corrispondenze", così si chiama il libro, è un lavoro importante e utile per capire come fosse diverso il modo di raccogliere e raccontare le notizie nella seconda metà del 1800. Ad esempio, e vivendo nell'oggi questo aspetto salta all'occhio come qualcosa di stupefacente, si legge nel libro di Aveto come la maggior parte dei quotidiani e dei periodici seguissero una linea sola, quella dell'autocensura. Nascondevano certe notizie ai lettori per non farle leggere al nemico, in quel caso l'Austria. Autocensura, come oggi si dirà? No, pare proprio che la questione fosse diversa. Oggi la stampa a volte si autocensura per stare a galla, ben attenta a non scontentare nessuno o, al contrario, finge grandi lotte, con fragorose bordate fatte di gossip e intercettazioni, per far credere al lettore di avere "coraggio", di saperle cantare chiare a questo o quel potere, in realtà, un certo di tipo di stampa, fa il gioco del potere mentre finge di combatterlo.
Nel 1860 nessuno dei giornali stampati a Genova scriveva della spedizione dei Mille. Un atteggiamento in apparenza inconcepibile, ma spiegato in un articolo apparso il 12 maggio di quell'anno sulla testa torinese "L'Unione", diretta dal giornalista comasco vicino a Cavour Aurelio Bianchi-Giovini. Giovini scriveva: «Quando l'anno scorso si stava in guerra con l'Austria, i giornalisti, con savio divisamento si astenevano dal parlare di tutte le mosse del nostro esercito per non dare lumi all'inimico. Ora siamo in una situazione forse più pericolosa. L'eroe di Varese (Garibaldi, ndr) è in mare in un'impresa che storidisce il mondo: è cercato, è inseguito. Ci sembra dunque che l'obbligo dei giornalisti sia di tacere, e non far pompa d'essere bene informati. Noi vediamo difatti gli organi migliori dell'opinione pubblica tacersi sulla spedizione; mentre vediamo altri giornali far pompa delle loro, non sempre veridiche, informazioni (lo fecero "La Lombardia" e "Il Pungolo" pubblicando le lettere dei volontari inviate dal porto di Talamone). Preghiamo dunque i nostri confratelli ad essere assai riservati nel dare informazioni sulla spedizione.
Si tratta nientemeno di compromettere il grande italiano con la eletta (schiera) degli eroi che lo hanno seguito». Ci sarebbe da imparare solo da queste poche righe. Darsi una linea di condotta per raggiungere uno scopo comune e non mettere nei guai, più di quanto già non lo fosse, chi stava combattendo per la libertà di tutti. Oggi per fortuna non c'è un nemico da combattere come l'Austria o i poteri che si spartivano l'Italia, ma ce ne sono senz'altro altri meno evidenti e violenti, ma altrettanto cogenti.
Nel libro di Aveto è esaltante anche leggere il capitolo intitolato "Fatto d'armi di Varese". Nelle parole scritte nella corrispondenza pubblicata su "Il Corriere del Lario" del 31 maggio e del 4 giugno 1859, si respira una voglia frizzante di indipendenza.
«Giunti, la mattina del 23 corrente, a Varese i prodi soldati di Garibaldi, dopo una pugna sostenuta vittoriosamente a Sesto, furono da quei cittadini accolti con indicibile entusiamo» e ancora «Intrepidi però s'avanzavano alla bajonetta due battaglioni di militi di Garibaldi contro il fuoco, e, non curando le perdite che necessariamente dovevano soffrire presero d'assalto le alture e se ne impadronirono (...) Lasciando quindi ancora seminato di cadaveri il campo, fuggì il nemico fin sopra Lucino (...) i nostri sarebbero di certo giunti in quel giorno istesso a Como, trionfanti, se Garibaldi (...) non li avesse chiamati a raccolta per difendere quella città (Casanuova verso Varese)». Ma le cronache raccolte da Aveto, proseguono raccontando i fatti d'arme di Camerlata, di piazza Volta a Como dove «visto che la necessità incombeva di riportare la notte allo scoperto, da ogni dove piovevano coperte ad alleviare il loro duro giacilio» e poi ancora di San Fermo della Battaglia e Borgo Vico. Nel libro di Aveto ci sono anche molti reportages di cronisti non noti ma che, accanto agli scritti di Dumas padre, attestano il fermento del periodo risorgimentale.
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