"Politici, rileggete Aristotele
per ridare senso all'etica"

Enrico Berti, decano dei pensatori italiani, celebre per gli studi su Aristotele, è uno dei pochissimi filosofi tradotti e apprezzati anche all'estero. Al punto che, da settembre, è stato nominato presidente dell'Institut Internationale de Philosophie, a Parigi. "La Provincia" lo ha intervistato. La sua convinzione? I classici della filosofia - a partire da Aristotele - hanno moltissimo da dire ai nostri giorni. E pure a chi ci governa...

di Davide G. Bianchi

Vi è un italiano alla testa della più importante accademia filosofica del mondo dallo scorso settembre, quando Enrico Berti è stato chiamato a presiedere l'Institut International de Philophie di Parigi. Decano degli storici della filosofia in Italia, in particolare per quanto riguarda l'antichità, Berti è in assoluto uno dei maggiori studiosi di Aristotele. "In principio era la meraviglia", recitava il titolo di un suo libro (Laterza 2008); la filosofia del Novecento sembrava però aver perso questa innocenza originaria - anch'essa aristotelica - a favore di progettualità molto ambiziose, dimentiche della massima greca in base alla quale «per gli uomini non è consigliabile suscitare l'invidia degli dei». Le grandi narrazioni del Novecento hanno avuto la sorte che sappiamo, ma prima ancora che queste manifestassero esplicitamente i loro limiti già era sorta, da più parti, la riscoperta dello stagirita maestro di Alessandro Magno. Era in atto, in altri termini, quel "Rinascimento aristotelico" a cui Berti ha dedicato il suo famoso "Aristotele nel Novecento" (Laterza, 1992).

Professor Berti, Aristotele per molti anni era finito sotto un cono d'ombra, se è lecito usare questa immagine per un pensatore che è uno dei fondatori della filosofia occidentale. Come mai? Tutta colpa dell'altro grande della filosofia greca, quel Platone che di Aristotele era stato il maestro?  

Non direi che fosse Platone a "fare ombra" ad Aristotele. Piuttosto era il prevalere di filosofie tipicamente moderne, come il neopositivismo, il marxismo e lo storicismo, forse più seducenti all'apparenza ma alla lunga votate allo scacco.

Come si è svolta la riscoperta di Aristotele?


È avvenuta dapprima in Europa, per opera del neoumanesimo tedesco, e poi in America sulla spinta della filosofia analitica. I nomi che si possono citare sono quelli di Hans Gadamer e Joachim Ritter, da un lato, e il famoso After Virtue (1981) di Alasdair MacIntyre, dall'altro, dove l'autore contrapponeva Aristotele a Nietzsche. Come è noto era questa la stagione in cui sorgeva il "comunitarismo", forse l'unica corrente di pensiero che oggi possa dare filo da torcere al liberalismo, largamente maggioritario nell'ambito della filosofia politica. In breve - ma molto in breve perché in realtà di discorso è ben più complesso - questi autori sottolineavano come il principio dell'avalutatività rischiasse di inaridire le scienze umane. Le rendeva attendibili sotto il profilo scientifico, ma povere in termini d'insegnamento.

Quali sono quindi gli aspetti più attuali della speculazione di Aristotele?

Difficile rispondere, perché sono moltissimi i settori della ricerca aristotelica che ancora riscuotono interesse (logica, ontologia, estetica: la sua Poetica è un libro continuamente tradotto e studiato). Tuttavia mi sentire di dire che la sua etica e la sua politica hanno ancora una giovinezza invidiabile. Come è noto al tema della giustizia Aristotele ha dedicato il quinto libro dell'"Etica Nicomachea", fissando la distinzione fra giustizia distributiva e giustizia correttiva (o commutativa, come talvolta si dice): dal primo principio consegue che a ciascuno spetta il dovuto («suum cuique tribuere», dicevano i latini), al secondo che nel comportamento umano al bene segue bene e al male segue male. Si può dire che questi principi non siano attuali?

(Leggi l'intera intervista sull'edizione cartacea de "La Provincia" di Como, in edicola il 16 ottobre)

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