Ferrero e Némirovsky
Un incontro lezzenese

Lo scrittore cosmopolita, di casa a Parigi, era profondamente legato al Lario. Tutte le volte che si recava a Lezzeno, come ricorda Fulvio Panzeri, il lago diventava lo scenario per conversazioni coltissime, spunti di lettura, aneddoti sugli scrittori più o meno celebri. Proprio come accadde con la Némirovsky, non ancora tradotta in Italia...

di Fulvio Panzeri

A volte il bisogno di ricordare la lezione di un grande scrittore, non nasce solo dalla ricorrenza di un anniversario, ma da un'occasione, da un ricordo, dal sentirne viva la mancanza. In questi giorni ho pensato con grande nostalgia a Sergio Ferrero, il grande scrittore, morto proprio a Lezzeno, tre anni fa, legato alla nostra città nella quale aveva vissuto per alcuni anni dopo la guerra e per quel senso della "famiglia" che aveva trovato a Lezzeno, nella forte amicizia che lo legava a Basilio Luoni.
Una delle ultime volte che l'avevo visto era stato proprio a Lezzeno, un inizio d'estate, per la festa molto cordiale in riva al lago per l'inaugurazione di una mostra. Era un Sergio Ferrero, già un po' stanco, ma sempre curiosissimo e acutissimo nel giudizio sui libri e sugli scrittori.
Lettore raffinatissimo, anche se non aveva scelto di fare il critico di professione, lo era "per natura" e preferiva stare nell'ombra, lontano dai riflettori. Ci lascia però una testimonianza di valore. È quella della "generosità" del suo "sapere" sempre tutto, soprattutto sulla letteratura francese e inglese, che conosceva a fondo, per quanto riguarda anche gli autori meno noti, quelli sconosciuti in Italia, pur se grandi scrittori. E i suoi giudizi erano una sorta di garanzia: ti diceva con precisione se l'autore valeva o meno.
Proprio lì a Lezzeno avevo chiesto a lui che cosa ne pensasse di una scrittrice francese, Irène Némirovsky, che stava per uscire da Adelphi. Il suo giudizio fu entusiasta e mi consigliò di leggere assolutamente quella scrittrice, raccontandomi anche la sua tragica storia, di donna all'apice del successo, che non fa niente per fuggire (da ebrea) o lo fa troppo tardi, al destino che la porterà alla morte nel campo di concentramento. E un particolare mi colpì allora nel suo raccontarmi la scrittrice: l'attenzione che lui poneva sulle due figlie, che stimava molto, per il lavoro che avevano fatto per mantenere in vita la memoria della madre.
E ora quel particolare mi è tornato alla mente leggendo il libro che la figlia, Elisabeth Gille, prima della morte, ha dedicato alla madre: Mirador, tradotto ora da Fazi e con un'introduzione di Renè De Ceccaty, critico e scrittore francese, molto amico di Sergio Ferrero, che in occasione della sua morte gli ha dedicato un importante articolo su "Le Monde". Probabilmente l'aveva anche conosciuta la figlia di Irène Nemirovsky, visto che a Parigi è stata traduttrice e direttore editoriale. E Ferrero a Parigi ha avuto una casa per molti anni. Non mi ricordo questo particolare.
È certo che di Sergio Ferrero, anche in questo, si sente la mancanza. Perché lui sapeva far scoprire grandi storie di vita e di cultura. Come era accaduto quando mi aveva portato in Piemonte, ad Alpignano, a conoscere Aurora Ciliberti, comasca, sua grande amica, che aveva per prima tradotto Auden in Italia negli anni sessanta e da lei, in tante scatole, avevamo trovato "un tesoro" fatto di carte, di lettere, di cartoline, spedite dal grande Auden alla giovane traduttrice italiana.
E la Ciliberti è stata una delle protagoniste della stagione comasca di Ferrero, lei, figlia della Ponina Ciliberti Tallone che aveva ospitato il giovane Ferrero a Como, per alcuni anni, quando faceva il commesso in una libreria. Alla sua figura così affascinante e quasi "mitica", Ferrero ha dedicato un delicato e affettuoso libretto, Ponina. Gli anni di Como, pubblicato alcuni anni fa da Nodolibri, in cui ricorda «la grazia imprevedibile con la quale Ponina reagiva in qualsiasi situazione, fosse pure la più sorprendente, o addirittura imbarazzante, agli occhi dello stupido conformista che, come tanti ragazzi, ero allora io». E poi emerge "la sua musica" perché Ponina come dice Ferrero era "una pianista straordinaria". E aggiunge: «Anzi, non vorrei sembrare esaltato, ma sono certo che nessuno mi ha tanto emozionato, dopo di lei».
E ancora tanti aneddoti, riguardanti Aurora, la figlia, in flash-back velocissimi che riguardano i gatti nuovi cantati da Aurora che secondo Ferrero è anche "fotografa eccellente", oltre che «eccellente traduttrice di Auden: del grande poeta inglese era anzi diventata intima».
Ancora oggi ritornano alla memoria le stanze austere della casa di Aurora, i suoi ricordi, i fasci di lettere di Auden che arrivavano a Como. È stata una grande emozione vedere quelle carte, seguire quella sua scrittura fitta e minuta, che Aurora traduceva a voce per farci partecipare dello straordinario rapporto che l'ha legata al grande poeta inglese, ma anche particolari più quotidiani come la visita al mercato di Alpignano, con tutte quelle bancarelle che vendono frutta deliziosa, mele e pere in special modo, ma anche insalata di campo e patate, raccolte direttamente nelle campagne lì intorno. Prima di andare via, nel tardo pomeriggio, inaspettatamente saltano fuori gli albi con le fotografie di Aurora. È Sergio a sollecitarla a mostrarci quei suoi ritratti, quelli, di un'infanzia incantata che colgono momenti che sembrano nati per illustrare certi testi classici della letteratura inglese come "L'età dell'oro" di Kenneth Grahame.
A  Como Ferrero è sempre ritornato, collaborando negli ultimi anni con il nostro giornale, presentando libri, consigliando sempre grandi autori da scoprire, come Gabriella Baracchi. Il suo primo libro, "Il vestito di sacco" lo consigliava a tutti e lo riteneva un piccolo capolavoro.
La sua curiosità e la sua passione rimangono come un segno di grande apertura: nel leggere era un tipo che arrivava sempre a colpire nel segno. E i libri che consigliava lui erano una garanzia di alta e toccante qualità.

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