Fu Martino da Como
il primo chef della storia

In un romanzo in uscita da Cairo Editore, la scrittrice Maria Cristiana (Ketty) Magni ricostruisce il profilo di un personaggio straordinario, inventore di piatti, ma pure in costante dialogo con i potenti dell'epoca.

di Maria Cristiana Magni

Per un appassionato di cucina ritengo essenziale conoscere le nostre radici, il passato gastronomico, perché è solo coltivando la memoria storica e la tradizione che si può innovare. In questo contesto, si colloca la figura del cuoco insubrico Martino da Como, che con le sue favolose ricette ha segnato il passaggio dal medioevo al rinascimento culinario e ha posto le basi per la cucina moderna.
La sua vita avventurosa, caratterizzata da serietà professionale, passione e impegno costante, garantisce una vasta gamma di emozioni. Nasce nel secondo o terzo decennio del secolo XV nella ridente e soleggiata valle del Blenio, all'epoca territorio di dominio visconteo. Apprende i primi rudimenti dell'arte culinaria in un convento nelle vicinanze dei luoghi natii, e probabilmente lì prende lezioni di lettere e si erudisce. Creativo, raffinato e curioso, Martino intraprende viaggi al seguito di ecclesiastici  nella città di Udine, legata a Como dal punto di vista religioso fin dai tempi dello Scisma dei Tre Capitoli. Dunque, inizia a scoprire tradizioni culinarie differenti, che arricchiscono le sue conoscenze. Ma è alla corte milanese di Francesco Sforza e della sua gentil consorte Bianca Maria Visconti che diventa capocuoco, e incomincia a annotare in un manoscritto le sue esperienze gustative. Si impegna per soddisfare i desideri della sua padrona, con la quale intrattiene un rapporto di stima reciproca: «Faceva gioire il suo palato nel ricavare ricette aromatiche, morbide, carnali, setose, golose, prelibate, principalmente quando nei lunghi periodi di gravidanza, le voglie della signora di Milano si acuivano». E con maestria riesce a sbalordire anche i piccoli eredi: «Martino non voleva dare l'impressione di accattivarsi i bambini per golosità e aveva conquistato la loro simpatia, proponendosi come un mago del fuoco, un genio della cucina che agitava le bacchette nel suo antro fatato e creava piatti meravigliosi».
L'epoca di benessere, nella quale egli vive, gli permette di sperimentare  sfiziose novità e di sviluppare felici intuizioni. Dai trionfi del "pastello volativo" con uccellini vivi che fuoriescono per stupire i commensali, passa a presentare in tavola «pavoni con tutte le penne che pur arrostiti sembrano vivi» e con una magica alchimia sputano fuoco. La sua fama viene consolidata da questi piatti di grande effetto scenografico, che sanno sorprendere i ceti sociali elevati in grado di godere di tale abilità culinaria. Lo sfarzo dei banchetti allestiti alla corte ducale è il frutto di un'organizzazione superlativa. Sotto il comando di maestro Martino lavora una schiera di servitori, ognuno dei quali svolge un compito preciso. Lo scalco si preoccupa di impostare il ritmo delle abbondanti portate, per far arrivare le vivande sulla tavola al momento giusto. Il trinciante provvede a tagliare le carni e a collocarle sui vassoi, per offrirle al signore e ai suoi ospiti che prendono il cibo con le mani, e ad ogni portata si lavano le mani con acqua profumata di rose. Mentre il credenziere sistema con cura le suppellettili decorative, il coppiere sceglie il vino da far degustare. I commensali siedono allo stesso lato della tavola, per ricevere le pietanze più comodamente. Sulle tavole imbandite, con meravigliose tovaglie di lino ricamate e sovrapposte, spiccano eleganti piatti e stoviglie preziose. Nel mio romanzo, ho tessuto con invenzione narrativa la vita privata del cuoco, dando voce ai suoi pensieri più intimi e interpretando le sue emozioni. Le figure femminili della contessa comasca Laura Leoni e della nobile romana Giovanna Orsini sono scaturite per esigenze creative e appartengono al mondo della fantasia. Con licenza, ho inserito l'ingrediente amoroso e nella splendida cornice del lago, a Como, Martino vive profondi turbamenti quando incontra l'amata. «Laura avanzava limpida e fiorente, la sua pelle di rosa veniva accarezzata dal vento sottile. Qualche capello si era liberato dalle maglie della cuffietta e danzava libero sulla fronte, lambendole l'arco delle sopracciglia. Martino la guardò e fu come se gli avessero strappato un velo dagli occhi, tanto lei splendeva in bellezza».
In seguito alla pace di Lodi del 1454, nella penisola italica si vive un periodo tranquillo. La Repubblica di Venezia estende i suoi domini fino all'Adda, ma non infastidisce più il Ducato milanese con mire espansionistiche. Le potenze minori dei Gonzaga e degli Estensi, la Repubblica di Genova e i Savoia, non destano problemi. La Firenze di Cosimo de' Medici si allea con Milano. Martino riesce a spostarsi agevolmente e il rilascio dei salvacondotti testimonia i suoi trasferimenti nelle ricche corti italiane, che fanno a gara per aggiudicarsi il primato della rinascita artistica e per accaparrarsi i godimenti più raffinati, compresa l'arte dei banchetti. Nei suoi viaggi compone una raccolta di ricette regionali che aggiunge al manoscritto. Sembra infaticabile nella dedizione al suo mestiere. Ricerca gli accostamenti dei cibi più appropriati e usa una grande quantità di "buone erbe" per insaporire i suoi piatti. Al seguito di alcuni diplomatici milanesi si muove dalla Mantova dei Gonzaga alla Firenze dei Medici, dalla Città Santa alla Napoli dominata dagli Aragonesi, da Udine a Genova. Finché trasloca per alcuni anni a Roma, a servizio del camerlengo Ludovico Scarampi Mezzarota, soprannominato cardinal "Lucullo" per la magnificenza dei suoi conviti. Nella sua opera culinaria, raccomanda di usare «farina bona e bella», oppure «burro fresco e carne magra ben tenera». E alla fine della ricetta, riporta preziosi consigli: «questa pietanza deve essere mangiata subito», oppure «friggi in olio buono», o ancora «sarà buona per i sani e per gli infermi».

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