Hillman, l'anima
della psicoanalisi

L'ultimo allievo di Jung e suo successore allo Jung Institut di Zurigo negli anni Sessanta, è morto negli Usa a 85 anni. Era diventato celebre per aver sviluppato temi del maestro, come l'Anima Mundi, e per avere ripensato radicalmente la vecchiaia.

di Vera Fisogni

Aveva poco più di vent'anni, James Hillman, quando giunse a Zurigo per incontrare il padre della psicoanalisi degli archetipi. Per una singolare coincidenza, l'intellettuale e psicoterapeuta americano, morto giovedì nel Connecticut, ha preso congedo dal mondo proprio mentre al cinema torna alla ribalta il "Dangerous Method" (titolo del film di David Cronenberg) che ha praticato e per molti versi superato.
Nato ad Atlantic City, nel 1926, Hillman, dopo rigorosi studi di filosofia (alla Sorbona di Parigi e al Trinity College di Dublino), si rivelò tanto vicino al pensiero del maestro, che divenne direttore scientifico del Jung Institut. «Non ho mai fatto analisi con Jung» ricordò in "Il piacere di pensare", una conversazione con Silvia Ronchey, aggiungendo di essere «convinto che Jung, la sua personalità, il suo nome, tutto l'insieme avessero completamente azzerato la mia coscienza». Sganciato il cordone ombelicale con il maestro («Imponente. Terrificante»), James iniziò a elaborare teorie originali, conosciute in Italia soprattutto per merito della casa editrice Adelphi. Sviluppò l'idea, in parte già compresa nel pensiero junghiano, che l'anima individuale non sia che parte dell'Anima del Mondo, una sorta di organismo dinamico (sua l'espressione "fare anima"). In altri libri ridiscusse la teoria socratica del "daimon", indicando in questa voce di dentro, una sorta di rivelazione di come evolveremo nella nostra vita. E se l'uomo è tutto compreso in un suo "nucleo" - emozionale, caratteriale, esperienziale - una sorta di "ghianda", è soltanto nella vecchiaia che veniamo fuori per quello che siamo. Persino le rughe e la secchezza del volto, lungi dall'essere sintomi della decadenza, partecipano a rivelare compiutamente la personalità. «L'invecchiamento - precisava Hillman - è un processo di scarto, non di aggiunta». Viceversa, il "puer aeternus" - l'eterno fanciullo interiore - rappresenta una tensione costante alla realizzazione di sé, mai davvero disgiungibile dal "senex", il vecchio. Hillman aveva difeso la presunta debolezza della psicoterapia rispetto allo strapotere dei farmaci. Tra i suoi libri più noti (celebre "Il codice dell'anima") vale proprio la pena partire da queste riflessioni, contenute in "Il suicidio e l'anima", del 1964, ma ripubblicato da Adelphi lo scorso anno.

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