Il Novecento a Como
Un secolo scattante

Cent'anni di storia comasca attraverso le immagini in bianco e nero nel nuovo libro strenna di Enzo Pifferi Editore, un documento urbanistico, capace di fotografare anche lo spirito imprenditoriale e positivo della gente del Lario.

di Alberto Longatti

Quando esce dall'Ottocento con tutta l'energia dello spirito progressista, Como è una città governata da un gruppo omogeneo per estrazione politica che risente ancora della matrice risorgimentale, crede nella necessità di modernizzazione, provvede alla realizzazione della rete elettrica, all'accelerazione dei mezzi di comunicazione, allo sviluppo del turismo. Dalle foto d'archivio di Enzo Pifferi raccolte nel volume "Novecento a Como",  è rintracciabile in primo luogo, come se guardassimo in un ricco caleidoscopio, uno scorcio della Como primovecentesca, che fatica a scuotersi di dosso l'abito un po' dimesso da grosso borgo campagnolo, con le lavandaie che strizzano i panni sulle scalinate di Sant'Agostino alternandosi con i barconi che scaricano le merci, i carretti e le carrozze accanto ai primi tram, i pescatori in  pacifica attesa sul molo e lungo la diga, gli interni delle scuole elementari dove gli alunni con il cranio rasato per difendersi dai pidocchi adottano ancora per scrivere i pennini intinti nel calamaio.
La gente si divertiva in modo semplice (il cinema era ancora un fenomeno da baraccone, a teatro si andava soprattutto per la lirica con l'abito buono), improvvisando escursioni nelle verdi vallate brianzole o salendo con la funicolare a Brunate  nella stagione calda per fare una scorpacciata di narcisi sui prati delle Colme, o ascoltando in piazza la musica dei complessi bandistici.
Nel contempo è dato di capire che lo sviluppo dell'industria tessile e tintoria induce ad osare prospettive più confortevoli per le condizioni di vita degli abitanti, perlomeno di quelli appartenenti al ceto medioborghese: quindi - è la seconda fase - ecco espandersi lo stile eclettico di Federico Frigerio che si esercita nelle volute da Belle Époque  o nel più severo decorativismo rinascimentale all'esterno del Grand Hotel Plinius, nei palazzi che fanno cornice al Duomo, nel Teatro Politeama. Quest'ultimo edificio, progettato nel 1910 perché evidentemente gli spettacoli del Teatro Sociale non bastavano ad accontentare le esigenze del pubblico, sorge a poca distanza da un altro fabbricato destinato dall'istituto Carducci all'educazione popolare, mediante corsi, conferenze, concerti che attirano molte persone.
Dopo la pausa della guerra, la città cambia volto, rapidamente, rompendo gli schemi fino ad allora previsti e puntando ad un nuovo ordine urbano, che verrà disegnato nel 1936 in seguito ad un concorso vinto da un'èquipe di architetti e ingegneri razionalisti. Accadono tante cose: si riassetta la piazza Cavour accomodando le aiuole e rimediando con pazienza alle periodiche esondazioni del Lario, viene demolito il fatiscente quartiere della Cortesella senza salvaguardare malauguratamente i reperti medioevali ancora in parte esistenti, si attua la copertura del Cosia creando la superficie della futura tangenziale, si provvede ad agevolare i crescenti flussi di traffico veicolare anche spostando a Porta Torre il monumento di Giuseppe Garibaldi che così, suo malgrado, non si rivolge più con la spada sguainata al luogo della gloriosa battaglia di San Fermo.
Un secondo omaggio ad Alessandro Volta nel 1927, dopo la grandiosa Esposizione del 1899, dà modo di costruire lo stadio Sinigaglia, rifacendolo di sana pianta a distanza di pochi anni, e di dare una sistemazione a tutta la zona connessa, con le sedi delle società nautiche, l'hangar dell'Aeroclub, il Monumento ai Caduti e il Tempio Voltiano, ultima opera dell'architetto Frigerio, che lascia il passo, dedicandosi solo allo studio del Duomo, all'ondata avvenirista dei razionalisti capitanati da Giuseppe Terragni che, superando l'ostilità di gran parte della cittadinanza, riesce a realizzare alcuni capolavori come la Casa del Fascio, il Novocomum, l'Asilo Sant'Elia.
Memorabili esiti dell'arte di costruire che però restano isolati, non si connettono con una programmazione urbanistica di più ampio respiro. È una Como che per onorare nome di Volta, il suo genius loci, ritrova una compattezza di decisioni e di sforzi organizzativi senza pari: acquista dai duchi Visconti di Modrone, grazie anche ad una pubblica sottoscrizione, la splendida dimora gentilizia voluta dagli Odescalchi e poi dai Raimondi, Villa Olmo, la trasforma in sede di mostre. Dopo la seconda guerra mondiale, la città risparmiata miracolosamente dai bombardamenti ha una ripresa iniziale sorprendente di attività e una voglia insopprimibile di recuperare un clima di pace, di svaghi innocenti. È il momento del cinema, con nuove sale ben attrezzate (come l'Astoria, battezzata addirittura "supercinema") che si adatteranno persino ad ospitare le prime trasmissioni televisive per non subirne troppo la concorrenza.
A Villa Olmo, mediante la creazione di un ente che raccoglie fondi dalle istituzioni pubbliche, vengono presentate mostre importanti, quali l'antologica di Bernardino Luini, l'esposizione multidisciplinare sul Neoclassicismo lombardo, le rassegne su Le Corbusier, le invenzioni del design sciorinato da "Forme e colori nella vita d'oggi", le riscoperte di titta l'opera di Antonio Sant'Elia, Manlio Rho e l'astrattismo fra Como e Milano, molte altre.
Il Teatrino ospita varie edizioni di un elegante programma musicale e di prosa, al Sociale e Villa Olmo esplode il successo di un festival canoro presentato da Mike Bongiorno che potrebbe contrapporsi a Sanremo se fosse durato più di due edizioni, inizia alla grande l'Autunno Musicale, fanno tappa qui le più acclamate compagnie di riviste, Macario, Dapporto, Totò, Wanda Osiris, Rascel, Walter Chiari... Si vedono in  giro personaggi celebri in visita, Villa d'Este sforna a ripetizione i divi hollywoodiani: però a sera sulle strade del centro cala il silenzio, indubbio segnale che il tradizionale riserbo degli abitanti non tollererà mai intrusioni rumorose.
Sul lago gareggiano i canottieri, sfrecciano i motoscafi, decollano gli idroplani, ma s'inscenano anche sfilate e competizioni nautiche di stampo medioevale. La passeggiata di Villa Geno, che conduce al lido ornato dall'alto getto di una fontana, raddoppia il suo percorso, accanto al viale alberato pedonale si snoda una strada per le auto. Nell'ultima fase del secolo, lo completerà sulla sponda opposta una comoda strada pedonale verso Villa Olmo, inducendo a spingersi oltre, a giungere fino a Cernobbio ed al parco di villa Erba, dove viene creato un centro congressi con l'entusiasmo di chi tenta inedite possibilità di sviluppo turistico.
Nuovi complessi abitativi si arrampicano lungo le pendici delle montagne, a caccia di vedute panoramiche, all'abitato nella convalle si aggiungono centri satelliti. Inoltrandosi nell'era del Duemila troppo favoleggiata dalle previsioni della fantastoria, Como si ritrova ancora piccola, con la paura di essere soffocata fra il confine elvetico e la metropoli milanese, impoverita da collegamenti ferroviari lenti e antiquati: e guarda con timore al proprio destino.           

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