Per il prete giovane
la messa non è finita

Convince il primo romanzo di Silvio Bernasconi, comasco, classe 1950. Nell'incontro-scontro tra un parroco anziano e un vicario ragazzino, racconta un conflitto generazionale, affrontando i temi cruciali della vita: la quotidianità, l'amore, la morte, l'amicizia, il rischio dell'aridità, la malattia. Una sorprendente maturità narrativa rende il libro un'opera pregevole, su uno sfondo lariano non precisamente definibile. L'autore è egli stesso un sacerdote, attivo a Gemonio (Va).

di Vera Fisogni

Coinvolge, fin dalle prime righe, ed è difficile sospendere la lettura. È una bella sorpresa letteraria il primo romanzo del comasco Silvio Bernasconi, "Il prete giovane". L'autore va dritto alla complessità della vita dalla prospettiva di uno speciale rapporto generazionale: quello tra un sacerdote a fine "carriera" e un vicario alla prima esperienza pastorale, seguiti nei dieci anni della loro collaborazione.
Siamo in un'epoca non così lontana, forse gli anni Settanta-Ottanta, il contesto è quello del lago. Di Como? L'autore guarda certamente al Lario (alcuni riferimenti farebbero pensare a Cernobbio), ma senza fornire dettagli toponomastici, facendone piuttosto emergere i tratti metaforici. In quelle acque avviene il primo contatto diretto con la morte da parte del prete giovane davanti al suicidio di una madre di famiglia.
Le robuste corde a cui sono assicurate le barche consentono invece al parroco un'acuta lezione sull'anima umana e la possibilità di recupero («non conta lo stato dell'acqua, ciò che conta è che le funi siano sane e non marce… Se l'anello si stacca dal muro o la fune si sfilaccia, la barca rischia di perdersi definitivamente»). L'incontro tra l'anziano e il vicario ragazzino si rivela da subito uno scontro. Quanto il primo appare antico nello stile pastorale, bizzarro e trasandato, tanto il secondo brilla per curiosità intellettuale, spendendosi specialmente per i giovani e non deroga all'esercizio della critica. Bernasconi ne tratteggia con maestrìa il reciproco cambiamento. L'anziano prete lascia affiorare dai caratteri bozzettistici un talento a leggere nell'animo umano («Ti sentivi a disagio camminando in un ambiente così, accanto ad un vecchio con la tonaca da prete e con due ciabatte comode da passeggio?») e una sincera autoanalisi. «Noi preti», dice, «a volte penso che assomigliamo in tutto agli uomini sposati… ciò che ci preme veramente è che le persone accanto siano a servizio», per poi concludere: «diamo lezioni agli altri e siamo i primi analfabeti dell'amore». L'evoluzione del giovane, la sua maturazione sacerdotale, con il riconoscimento dei propri limiti (la stanchezza nel confessionale), si misura con la routine pastorale del luogo. Si sorride quando, nel mese mariano di maggio, il vicario ha la sensazione che le prediche del vecchio prete contengano frecciate verso di lui. O quando il cane del collega arriva sul pulpito, lasciando senza parole il monsignore di passaggio, ma consegnando una lezione di vita («ha insegnato più cose lui di quello che il predicatore ha detto in tre prediche»).
Da ricordare anche l'evoluzione della sorella del parroco, che da serva ritrova la propria identità di donna, compreso il piacere di vedersi ringiovanire grazie a una permanente, oltre a far affiorare una delicata sensibilità di amica verso il prete giovane. Anche l'altro cameo femminile del libro, non ha nulla a che spartire con i bozzetti macchiettistici delle "beghine", così presenti nella narrazione lacustre, dai best seller di Andrea Vitali ai libri di Giuseppe Guin.
La scrittura controllata di Bernasconi, non indulge in dialettismi. Richiama, piuttosto, lo stile asciutto di Gabriella Baracchi, dove persino le cose riescono a comunicare sentimenti.
Quanto alle figure dei preti, il pensiero - specie per quello più anziano - corre al protagonista di "Casa d'altri" (Einaudi) di Silvio d'Arzo (1920-1952). Ma c'è in Bernasconi qualcosa di più, la capacità di guardare con spietatezza critica e insieme una certa indulgenza, ai propri personaggi. Bene ha fatto, infine, l'autore, a non precisare in copertina di essere - egli stesso - sacerdote (a Gemonio, Varese). Sarebbe stato fuorviante, a fronte di un narratore di razza, non soltanto "locale", dal quale aspettiamo nuove prove di scrittura.

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