Cultura e Spettacoli
Venerdì 27 Gennaio 2012
«Ho vissuto nel lager
Ecco cosa fu la Shoah»
L'avvocato milanese Gianfranco Maris, 91 anni, ricorda a "La Provincia" i 9 mesi in cui fu detenuto a Mahthausen: la sua vicenda è diventata, soltanto adesso, un libro pubblicato da Mondadori e curato dal giornalista Michele Brambilla, già direttore de "La Provincia". Sul quotidiano del 27 gennaio, Giorno della Memoria, anche il racconto esclusivo di Moreno Gentili, che narra una vicenda lombarda pressoché sconosciuta. Per saperne di più sui lombardi detenuti nei lager, leggi l'elenco del Cdec.
«Mi chiamo Gianfranco Maris e sono nato tre volte. La prima, il 19 gennaio 1921; la seconda, ufficialmente, quando fui registrato all'anagrafe del comune di Milano, il 24 gennaio 1921; la terza il 5 maggio 1945, quando, in cima alla scala di una torretta del campo di concentramento di Gusen - Mauthausen, vidi arrivare una camionetta con i soldati americani». Alla bella età di 91 anni, l'avvocato Gianfranco Maris, ha deciso di commemorare la Giornata della Memoria raccontando in un libro scritto con Michele Brambilla, inviato de "La Stampa" (e già direttore de "La Provincia"), "Per ogni pidocchio cinque bastonate" (Mondadori, pp.132, € 17,50), la sua detenzione a Mauthausen, uno dei più grandi campi di concentramento nazisti. Qui venivano rinchiusi i deportati politici e gli operai che scioperavano contro il regime. Gianfranco Maris, quinto figlio di un antifascista milanese titolare di una piccola fonderia, finì nel lager nel 1944, arrestato quale organizzatore delle brigate partigiane comuniste. Era rientrato a Milano dopo l'8 settembre 1943 dalla Slovenia, dove aveva combattuto come sottotenente del 122° reggimento Macerata.
Avvocato, lei visse nove mesi da incubo a Mauthausen e si salvò solo grazie alla sua resistenza fisica...
Ogni prigioniero - racconta, mentre nel suo viso di vegliardo passa un'ombra di tristezza - la sera doveva accuratamente ispezionare i propri stracci e ripulirli dai pidocchi. Nudo, al buio scrutavo le cuciture della divisa, ma qualche pidocchio riusciva sempre a sfuggirmi. Al controllo dei guardiani alla luce forte delle lampade, per ogni pidocchio trovato il possessore degli stracci era punito con cinque bastonate. Una sera ne trovarono cinque fra i miei abiti. Ricevetti le venticinque bastonate da un kapò polacco, il quale compì con gusto e disprezzo il suo sadico dovere.
Perché ha raccontato solo ora la sua prigionia a Mauthausen?
Mi sembrava difficile raccontare fame, sporcizia, torture e morte, ma quasi quotidianamente ho testimoniato della mia brutta avventura. Il libro l'ho scritto perché volevo lasciare qualcosa che fosse storia critica, sociale e politica, dedotta dalla narrazione dei fatti che ho vissuto. Ognuno degli episodi che ho raccontato nel libro è parte di un mosaico più vasto finalizzato a costruire una storia consapevole degli orrori della deportazione. Soprattutto volevo colmare l'abisso d'ignoranza che spesso devo constatare tra i giovani a proposito dei campi di concentramento.
Cosa accadeva all'arrivo al campo?
Le procedure erano le stesse. All'arrivo c'era la selezione dei prigionieri tra quelli ritenuti abili al lavoro e no. Gli inadatti e i malati erano gasati subito. A Mauthausen era praticata con frequenza anche la puntura al cuore, che faceva morire tra spasimi atroci. Tutti i medici del lager facevano orrendi esperimenti sui prigionieri, e molti di questi medici furono processati tra il 1946 e il 1947. Ottocento sventurati, tutti detenuti politici ormai inadatti al lavoro, la notte del 22 aprile 1945, furono gasati nel blocco 31 di Gusen. Triste beffa, se pensiamo che il 25 aprile la guerra finì, e pochi giorni dopo tutti i sopravvissuti, allo stremo ma vivi, fummo liberati.
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