
Cultura e Spettacoli
Martedì 14 Febbraio 2012
Tiziano, l'inventore
del paesaggio su tela
Il 16 febbraio si apre a Palazzo Reale di Milano la mostra dedicata a questo tema, con 50 opere, comprese quelle di artisti coevi o precedenti. Vai al sito con le informazioni e visita quello dedicato al genio veneto.
"Tiziano e la nascita del paesaggio moderno" s'intitola la mostra promossa, da domani al 20 maggio, a Palazzo Reale di Milano, con il patrocinio del Fai, cui si deve il restauro della Villa dei Vescovi di Luvigliano di Torreglia (Padova). La villa (1535 -1542) domina la campagna aprendosi alla sua visione con ampie logge ed è sintomatica del nuovo atteggiamento estetico verso la natura. Mauro Lucco, docente dell'Università di Bologna e curatore della mostra, riconosce nella lettera scritta a Filippo d'Asburgo, in cui Tiziano parla di «paesaggio», la prima manifestazione scritta del vocabolo (11 ottobre 1552).
Non che di paesaggi non se ne siano dipinti prima, ma lo spirito cinquecentesco era in sintonia con la poetica dell'Arcadia di Jacopo Sannazaro e rifletteva un diffuso gusto neopetrarchista. Il Petrarca che era salito sul Monte Ventoux nel 1336 riportandone un'impressione commossa ed entusiasta, tanto diversa da quella dei suoi contemporanei che vedevano solo la fatica e il pericolo dell'ascesa, era molto in anticipo sulle arti figurative. Nella pittura medievale infatti i rari spunti paesaggistici sono lontani dall'offrire la dimensione del naturale anche quando l'autore è Giotto, che si limita a brevi intensissimi approcci nell'albero spoglio nel "Compianto" degli Scrovegni a Padova e tocca vette di pura poesia tra le irreali rocce del sogno di Gioachino. Per quanto siano innovativi nel panorama dell'arte medievale, nei paesaggi dipinti nella prima metà del Trecento nel Palazzo Pubblico di Siena, sono puri emblemi la città e il castello sulle spoglie colline davanti alle quali Simone Martini fa muovere solitario il cavallo del condottiero Guidoricco da Fogliano, sull'altra faccia della stessa parete le ubertose colline senesi sono invece effetto del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti. Rispettivamente sfondo politico e sfondo economico, senza slanci lirici.
Ancora un secolo dopo sono puramente indicativi di uno spazio aperto i paesaggi dei grandi pittori del primo Rinascimento, Masaccio, Paolo Uccello, Beato Angelico. Fantastici invece quelli dei loro colleghi attardati nello stile gotico cortese. Bisogna attendere il genio di Piero della Francesca per vedere specchiate nelle acque del Giordano i pendii naturali dell'alta valle del Tevere prestati all'ambientazione del battesimo di Cristo, o per leggere le terre e le acque oltre i profili dei signori di Montefeltro, dominanti sui loro territori. Nel nord Italia dopo il lancio troppo precoce a Castiglione Olona negli anni '30 del '400 del toscano Masolino, che delinea generici profili montuosi e li tinge con scarsa convinzione, la maturazione del bresciano Vincenzo Foppa nella resa del paesaggio che ambienta le storie di san Pietro Martire ha del prodigioso alla Cappella Portinari di Milano: gli alberi sono veri nello spazio prospettico che in lontananza registra persino le brume lombarde. Bisogna avere in mente queste premesse per apprezzare pienamente la rivoluzione della pittura veneta. Se il Mantegna predilige le rocce scheggiatee vi incastona città antiche frutto di un sogno umanistico, il suo cognato Giovanni Bellini, dopo i vasti teleri dipinti col fratello Gentile di una Venezia che ambienta storie sacre, indulge al naturalismo dei luoghi che accolgono personaggi sacri o profani. Ed è un progresso incessante e stupefacente di tecnica e di sensibilità nel pittore che invecchia migliorandosi: la "Trasfigurazione" del Museo Correr di Venezia, ancora gotica nell'impianto verticale, mantegnesca nel disegno "metallico" e drammatica, non lasciava presupporre la naturalezza della "Trasfigurazione" di Capodimonte, dipinta trent'anni dopo, in un paesaggio vero, d'ispirazione bucolica, avvolgente.
Nella "Pietà" di Brera il paesaggio si perlustra come un sospiro, tirando letteralmente il fiato, allontanando lo sguardo, come lo allontana nell'altra direzione Giovanni, dall'insostenibile scena di dolore della Madre esausta accanto al figlio morto. Frontale invece è il castello di Gradara, quello di Paolo e Francesca, che s'inquadra nella cornice del trono dell'"Incoronazione di Maria" nella pala di Pesaro, e non sai se sia la veduta da una finestra o davvero il primo quadro tutto di paesaggio. L'ambiguità rivela la remora nell'introdurre un'immagine di realtà nel tema sacro di una pala d'altare. Bellini non si crea il problema nei dipinti religiosi di devozione privata come la Madonna del Prato. Ma sarà Giorgione a tagliare il nodo gordiano, distendendo a tutto campo alberi, castelli e colline dietro la parete dalla pala di Castelfranco. E di lì la strada sarà aperta per Tiziano, Lotto, Tintoretto, Bassano e molti altri in mostra.
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