Padre Turoldo e la poetessa
Un'amicizia nata in cucina

di Luigia Giussani Torresani *

«Amico caro,/ del sentimento puro,/ maestro e servo / dal pensiero raro,/ fratello umano,/ poeta austero,/ figlio di un Iddio/ sempre da scoprire./ Bravo, discusso,/ scomodo profeta,/ la  mano tendi / al povero nel pianto,/ la voce tuona / la desolazione / a  quel mondo assente,/ diviso e indifferente».
("A padre Turoldo")

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Ho voluto estrapolare dei versi da una poesia che ho scritto dopo la scomparsa di Padre David Maria Turoldo - avvenuta vent'anni fa, il 6 febbraio 1992 - per testimoniare la mia stima verso una persona che è entrata nella vita della mia famiglia in modo insolito.
Le vicende esistenziali, magari quelle più strane e tristi, portano con sé dei messaggi, delle opportunità che, nel momento che succedono, non avremmo mai potuto immaginare, immersi nelle emozioni dell'evento. Un brutto incidente automobilistico che ha mal ridotto padre Turoldo, bisognoso di cure riabilitative, lo ha fatto incontrare con mia figlia Pierangela all'Istituto Don Gnocchi. E il primo impatto per lui non fu certo facile, infatti disse al medico: «Ma come, mi fai trattare da una giovane ragazza alle prime armi?» e il medico gli rispose: «Fidati, è brava ed è preparata specificatamente per il tuo caso».
E così avvenne che da un'attività di cura che riuscì a rimettere in sesto padre Turoldo nacque un'amicizia bella, profonda che da mia figlia si estese a tutta la famiglia. Generoso, gratuito e schietto, personaggio umile e di profonda umanità, semplice pur nella sua complessità, padre David è stato uomo dalle idee chiare e anticonformiste.
L'ho apprezzato come persona integra e indipendente, capace di urlare di fronte alle ingiustizie, sensibile laddove incontrava indifferenza glaciale, si placava solo quando appariva un barlume di speranza e qualche raro risultato. Veniva in casa mia per gratitudine, dopo le cure che mia figlia gli aveva dedicato con successo.
Una volta telefonò annunciandoci la sua visita poco prima di pranzo e, avendo poco in casa da offrirgli, inviai miei figli alla macelleria ad acquistare della carne di qualità. Lui, accompagnato da frate Luigi, appena entrato, non vedendoli, si insospettì, guardò dentro il frigo e vide delle uova. «Siamo venuti per mangiare delle uova al burro, altrimenti ce ne andiamo!». Infatti, non volle assaggiare le bistecche e con quel gesto ci confermò il suo piacere di stare con noi come se si sentisse nella sua casa di famiglia, in Friuli.  Mi capitava di leggergli ogni tanto una mia composizione, faccio fatica a chiamarle poesie. E lui mi incoraggiava a leggere e a scrivere, nonostante avessi frequentato solo le commerciali.
Una volta, accompagnato da don Giovanni Valassina, mi permisi di leggere il "Madrigale", e lui, attento, alla fine disse. «Sei delicata nell'esprimere anche situazioni forti». Lo ringraziai per il fatto che apprezzasse i miei scarabocchi che scrivevo qua e là su pezzi di carta che solo ora, a oltre ottant'anni dalla mia nascita, sono diventati  persino un libro.
Amo definirlo cantore del Creato perché col suo temperamento passionale era «innamorato fedele della divina creazione». La sua fiorente genialità, ispirata alla solennità del sacro, gli permise di tradurre in poesia parte del patrimonio delle sacre scritture. Ora abbiamo canti, salmi che spaziano l'infinito cosmo. E così la piccola abbazia di S. Egidio, arrampicata sui pendii a Sotto il Monte, paese di Papa Giovanni XXIII, è diventata una cattedrale con un Centro studi ecumenici e una rivista, "Servitium", che diffonde la spiritualità.
Tra di noi, naturalmente con dimensioni diverse, essendo lui un gigante di umanità e poesia, a volte ci fu un dialogo poetico e mi piace ricordarlo con questi versi, suoi e miei: «Nulla sappiamo del tempo,/ cosa sia lo stesso Nulla,/ o il Tutto:/ cosa sia un fiore,/ un respiro, o gli occhi di un bimbo» (Padre David Maria Turoldo). «Ho amato il Nulla/ e nel Nulla c'era il Tutto». (L. Giussani Torresani)
(* Con la collaborazione di Alberto Terzi)   

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