
Cultura e Spettacoli
Martedì 03 Aprile 2012
Le lacrime amare
formato best seller
Record di lettori per Massimo Gramellini: 200 mila copie e varie edizioni in un mese. Ma tutti i successi dell'ultima stagione letteraria, dalla Marzano alla Pivetti trattano di sofferenza psicologica e confronto con la morte. Perché appassionano tanto i lettori? Il nostro critico fa un'ipotesi.
È difficile raccontare il dolore, soprattutto se appartiene ad una propria esperienza personale, perché implica una messa in gioco di se stessi, delle proprie fragilità. Eppure ad un certo punto diventa necessario raccontarlo forse per farlo uscire dalla propria solitudine, senz'altro per condividerne il senso, le emozioni, le amarezze e gli sconforti.
Più il dolore diventa "storia vera", vissuta e non elaborata attraverso la finzione romanzesca, e più questi libri interessano al lettore. Lo dimostrano gli arrivi sempre più frequenti in libreria e l'interesse che suscitano nel popolo dei lettori, anche in quelli non "tradizionali". Non è una novità questa tendenza, anche se da un anno a questa parte va segnalato un deciso ritorno forte di interesse. Ci sono libri che da trent'anni sono un long-seller, come ad esempio "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" di Christiane F., la storia, nella Berlino degli anni Settanta, di una ragazzina di dodici anni, che conosce l'inferno della droga e della prostituzione. Questo libro è regolarmente ristampato quasi ogni anno nella Bur Rizzoli. Se in quel libro era forte anche il tema della denuncia sociale, la prospettiva che emerge dai nuovi libri, è quella invece di elaborazione molto personale del proprio dolore attraverso la scrittura.
Ne è un esempio il best-seller del vicedirettore di "La Stampa", Massimo Gramellini., "Fai bei sogni" (Longanesi), presentato come romanzo autobiografico, che ripercorre il dramma vissuto da bambino per la perdita della madre, sulla morte della quale solo da adulto arriva a scoprire una verità inaspettata e sconvolgente, la storia di un bambino, e poi di un adulto, che imparerà ad affrontare il dolore più grande, la perdita della mamma. Uscito in libreria i primi giorni di marzo, uscito in libreria in poco meno di un mese è già alla quarta ristampa, con oltre 200mila copie vendute. Ed è un libro che sta suscitando dibattiti anche sul Web che testimoniano dell'interesse dei lettori verso questo "dolore raccontato". Ad esempio una lettrice, che ha vissuto una situazione simile, dice di non essere stata coinvolta emotivamente dal libro, di non essere "entrata" nella storia. Questo è già un dato che spiega quanto il lettore richieda alla vicenda raccontata la condivisione di un'esperienza, per confrontarla, per averne conforto anche dal solo fatto di sapere che qualcun altro ha raccontato il suo stesso dolore. Un altro lettore le risponde, definendo la natura di un libro che affronta un dolore reale, vissuto: «Comunque credo che quando un libro tocca un dolore profondo, un dolore nostro, sia normale pretendere che lo faccia bene, anzi benissimo, oppure sentire tutta la distanza possibile dal racconto. Non esistono vie di mezzo in questi casi». Michela Marzano invece è un'affermata filosofa e scrittrice, un'autorità negli ambienti della società culturale parigina. «Lei è anoressica» le viene detto da una psichiatra quando ha poco più di vent'anni. Ha raccontato la sua storia in "Volevo essere una farfalla", edito da Mondadori. Dice l'autrice sottolineando qual è stata la necessità di racconta la storia del suo "dolore" personale: «L'anoressia non è come un raffreddore. Non passa così, da sola. Ma non è nemmeno una battaglia che si vince. L'anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa male dentro. Oggi ho quarant'anni e tutto va bene. Perché sto bene. Cioè... sto male, ma male come chiunque altro. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Anche se le ferite non si rimarginano mai completamente. In questo libro racconto la mia storia. Pensavo che non ne avrei mai parlato, ma col passare degli anni parlarne è diventata una necessità».
Scrivere del proprio "dolore", in quest'ottica tutta interiore, diventa quindi una necessità, per sfuggire anche alla propria solitudine, per condividerla, con quei lettori che, oggi più che in altri tempi, in mancanza di risposte che diano al senso al proprio dolore, hanno bisogno di elaborare la propria sofferenza, anche attraverso il racconto di chi ha avuto un percorso simile o semplicemente ha avuto a che fare anche indirettamente con questo "dolore". C'è chi riesce a raccontare i momenti più grigi della depressione con anche un po' di ironia, come succede a Veronica Pivetti, in "Ho smesso di piangere. La mia odissea per uscire dalla depressione", da poco edito da Mondadori. Tutto ha inizio dieci anni fa, quando la Pivetti si sente dire: «Lei è malata, la sua tiroide non funziona più»: un malfunzionamento che la porta verso una forte depressione, complici alcuni farmaci sbagliati che le erano stati prescritti.
Così è iniziata la sua odissea medica, durata sei anni, «anni nei quali - come scrive la Pivetti - mi sono detta continuamente che era inutile vivere così. Il tempo triste sembra sempre tempo perso». Sono anni assai difficili: «Una volta ero perfettamente funzionante, ero nuova di trinca. E credevo che fosse quella la verità. Ora sono un po' rattoppata, ho un'anima patchwork e una psiche in divenire. Ed è questa la verità. Ma va bene così, perché la vita si fa con quello che c'è...».
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