Mantegna e Bellini:
legami di famiglia

Due mostre, a Milano e Bergamo, portano alla luce - seppure a distanza - aspetti poco noti del rapporto artistico tra i due cognati. Guarda la fotogallery delle opere.

di Vera Fisogni

Molti sono i legami familiari nella storia dell'arte. Ma certamente quello tra Andrea Mantegna e Giovanni Bellini - due giganti del Rinascimento - si impone come una vicenda dai contorni ancora tutti da indagare. Grazie a due mostre che si svolgono in contemporanea, l'una dedicata all'"Imago pietatis" di Bellini al Museo Poldi Pezzoli di Milano, l'altra al restauro della "Madonna con Bambino" di Mantegna al Palazzo della Ragione di Bergamo, i celebri cognati sono singolarmente posti a confronto.
«I contatti e gli scambi artistici tra i due pittori sono intensissimi dal 1453 alla fine degli anni Cinquanta», fa notare Andrea Di Lorenzo, curatore dell'evento milanese. Mantegna, poco più grande di Bellini, ne aveva sposato la sorella Nicolosia, dalla quale ebbe sei figli.
 «Giovanni stava a Venezia, Andrea lavorava a Padova, prima di trasferirsi a Mantova - continua - Il giovane Bellini copia varie composizioni del cognato, ma riesce a trasmettere sempre un'interpretazione capace di imprimere il proprio temperamento». La grande questione si può formulare in questi termini: tra i due, chi influì di più sull'altro?
Più morbido rispetto al "classicista" Mantegna, Giovanni riprende quasi alla lettera alcuni dettagli del cognato. Nell'"Imago pietatis", perno della mostra milanese, si vede come il fondale del paesaggio sia ricalcato sull'"Adorazione dei pastori" di Mantegna (oggi al Metropolitan). «In effetti, la composizione è la stessa», riconosce Di Lorenzo, «con le medesime quinte rocciose ai lati». Risultano invece pressoché sovrapponibili, le due "Presentazioni al tempio" (1455-1560 circa); quella di Mantegna dovrebbe essere la prima versione, perché Bellini, aggiungendovi altre figure laterali, fa pensare a una variazione sul tema.
Ma se Bellini sembra riprendere i temi di Mantegna, è in realtà quest'ultimo a trarre i maggiori benefici dalla vicinanza con il più giovane collega. Perché, negli anni in cui è forte questo scambio osmotico, Mantegna progredisce nel dare espressività ai caratteri. Nella pala veronese di San Zeno vediamo «una delle opere in cui egli sembra dialogare in maniera più coinvolgente con le novità del più giovane cognato», riconosce Andrea De Marchi, docente di Storia dell'arte medievale a Firenze, nel catalogo su Bellini.
Negli anni del più intenso legame professionale, Mantegna dimostra di mettere a frutto le intuizioni belliniane anche nella Cappella Ovetari di Padova, perché il "Trasporto del corpo di San Cristoforo" (affresco semidistrutto nel 1944) svela una più realistica carnalità delle figure.
Curiosamente, la lezione di Bellini, sostanzialmente improntata alla morbidezza dei volumi, contribuì a forgiare il grandioso talento di Mantegna nel plasmare la profondità prospettica. Resa con maestria assoluta nel "Cristo morto" dell'Accademia di Brera, negli anni della maturità (1475-78). Un'opera in cui il critico Roberto Longhi notò un debito verso Bellini. Ma che, alla luce degli studi più recenti, sembra evidenziare come i due cognati traessero dal confronto reciproco alimento per percorsi del tutto originali.

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