Gli ultimi eroi africani
Scatti di un artista

Prosegue fino al 21 aprile, a ingresso libero, alla Fondazione Mudina, la mostra delle foto di Matteo Guzzini, curate dal concept designer comasco Moreno Gentili. Un'occasione unica di conoscere una tribù semi-nomade del Kenya, da una prospettiva non convenzionale. Vai sl sito


di Vera Fisogni


Non sono molte le occasioni, ormai, di vedere da vicino culture pressoché ignote, come quella dei Samburu, raccontata dalle immagini di Matteo Guzzini allo spazio Mudima di Milano (via Tadino, 26). Se la globalizzazione, ma soprattutto la comunicazione in tempo reale danno la sensazione
che non ci sia più nulla da scoprire, è la capacità di guardare a fare la differenza: Guzzini, il cui nome rivela radici imprenditoriali, ha preso dimora da anni tra quegli “African Heroes” raccontati in modo suggestivo, con la collaborazione di Moreno Gentili, scrittore, concept designer, fotografo egli stesso, che attraverso il montaggio narrativo, di sapore cinematografico, conferisce alla mostra milanese il valore aggiunto di una lettura critica, senza mai derogare alla dimensione da cartolina.

Chi sono, dunque, i Samburu?

A un primo sguardo rinviano alla cultura Masai. Ma, come spiega Peter Lemoosa, questi pastori-nomadi di lingua Maa, a nord ovest del lago Turkana, esprimono una cultura propria, in cui convergono – a sorpresa – anche radici latine, dal momento che al tempo di Nerone in quelle terre vennero inviati osservatori, i quali con ogni probabilità si fusero con queste tribù. Il loro aspetto, i riti cruenti, l'uso delle armi, giustifica il titolo di “Heroes”, eroi, dato alla mostra. In verità, le immagini tradiscono soprattutto la nostalgia di questa connotazione, mostrando piuttosto la progressiva perdita di identità, a causa delle contaminazioni con cosiddetta cultura globale.
E' vero che i pettorali di perline, le frecce puntute, i poggiatesta da campo, i colori con cui si decorano evocano l'orgoglio di una stirpe guerriera nomade, con molte citazioni alla cultura dell'Egitto antico, persino pre-dinastico. Tuttavia, i sandali di plastica dozzinale, il berretto con simboli Rasta, acquistabili in qualsiasi mercatino milanese o americano, evocano l'evoluzione in atto di questi “african heroes”. Bene ha fatto, allora, Moreno Gentili ad allestire una serie di macro ritratti, di uomini e donne, anziani e giovani, che subito interpellano il visitatore con i loro occhi vivaci. Come a invitarlo a farsi testimone di una cultura in fase di cambiamento, anche se i riti ne mantengono il baricentro ancora stabile. Colpisce la quantità di sangue animale asperso o bevuto nelle cerimonie (compresa la circoncisione, rito di passaggio sia maschile sia femminile, nonostante quest'ultima sia una pratica vietata in Kenya). Il rosso, del resto, è il colore dominante dei tessuti, come dei monili. Dal 1996, da quando sono arrivate le armi da fuoco, in qualche modo questo popolo ha perduto la propria innocenza. Persino sul piano linguistico, visto che dalla Cina sono giunti anche qui orologi, cellulari e altri oggetti di consumo dei quali non c'era alcuna terminologia nella lingua Samburu.
Con l'urbanizzazione di parte della popolazione – i giovani vanno a scuola e apprendono l'inglese – Lemoosa ci ricorda che alcol, droga, fumo fanno ormai parte delle abitutdini delle élite. Matteo Guzzini non tace nulla di tutto ciò, ma proprio per questo offre al visitatore, in mostra e nel volume che la accompagna e la integra (Skira), con testi anche di Giovanna Melandri e di Tony Simmons  uno sguardo ancora capace di suscitare meraviglia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Documenti allegati
Eco di Bergamo I SAMBURU