Cultura e Spettacoli
Giovedì 05 Marzo 2009
La noia del Duce a tavola
e l'appunto dell'istitutrice
Villa <Il Soldo>, la residenza lariana della Sarfatti, ospitò celebri artisti
Ma su tutto e tutti dominava la presenza ingombrante di Mussolini
L’impronta della Sarfatti, fin dagli inizi, segnò il destino del Soldo di Cavallasca. La residenza di campagna, acquistata un secolo fa, nel 1909, da Margherita e dal marito Cesare, fu forgiata secondo i gusti e la forte personalità della sua padrona. Come tutte le case sarfattiane, anche quella lariana, prossima al confine con la Svizzera, ospitò un salotto tra i più ambiti e ricercati d’Italia. In quelle stanze, in quel giardino passarono, tra i tanti, Pirandello, Medardo Rosso, Piacentini, Tosi, Boccioni, Terragni, Panzini, Ada Negri, Carlo Linati, Riccardo Bacchelli. Le pareti erano tappezzate di capolavori: tele di Sironi, Marussig, Boccioni, Funi, Kokoschka, disegni di Gris, Cocteau, Picasso, acqueforti di Goya, un piccolo quadro di Utrillo.
Ma, su tutto e tutti, dominava la presenza ingombrante di Mussolini, con il quale la Sarfatti mantenne una relazione sentimentale dal 1913 al ’30. Adriana Turconi è tra i pochi testimoni superstiti di quell’epoca di fasti e di illusioni: suo nonno Pietro Tettamanti, sposato con Lucia Peverelli detta Bigia, era il fattore-custode della proprietà Sarfatti. «Mia madre Maria Erminia - racconta - dava una mano in cucina, specie quando c’erano ospiti. Mi raccontò di un pranzo al quale erano presenti Mussolini, Ada Negri, Sironi e altri artisti. In casa Sarfatti c’era un’educatrice germanica, che insegnava il tedesco a Fiammetta, l’ultimogenita della signora. La governante teutonica quel giorno serviva il pranzo. Mussolini era seduto a capotavola, palesemente annoiato dalla conversazione, perché aveva la testa poggiata sul pugno, il gomito saldamente piantato sul tavolo. Allora la governante tedesca, osservata la scena, disse a mia madre: "Guarda come è beneducato l’uomo che regge le sorti d’Italia!"».
Ma, ben presto, la presenza del Duce nella vita di Margherita Sarfatti tornò utile anche alla famiglia del buon fattore, come testimonia la nipote Turconi: «Mio zio Gigi, che faceva il contrabbandiere, una volta finì nei guai. Fu preso con le mani nel sacco, e venne rinchiuso a San Donnino. Doveva essere trasferito in un altro carcere, allora mio nonno scrisse alla Sarfatti implorandole di intervenire a favore di suo figlio, presso Mussolini. Cosa che la Sarfatti evidentemente fece, perché zio Gigi venne presto liberato».
Dopo la gloria, vennero gli anni della tragedia. Nel novembre 1938, messa in fuga dalle leggi razziali, in quanto ebrea di nascita, Margherita dovette lasciare l’Italia, per un lungo periodo di esilio, durato quasi dieci anni. Il fattore, con la famiglia, rimase a vegliare come un soldato su ciò che gli era stato affidato. «All’epoca in cui la signora si trovava in Sudamerica - rievoca Adriana Turconi - si presentò da mio nonno una persona con una lettera autografa della Sarfatti che autorizzava questo incaricato a prelevare un dipinto che era stato venduto. L’appartamento padronale del Soldo era chiuso da anni, e mio nonno andò a cercare l’opera d’arte nel corridoio che la signora aveva trasformato in una piccola galleria. Constatò che il quadro era pieno di ragnatele e, d’istinto, si accinse a ripulirlo per le spicce con una scopetta di saggina. Non le dico l’urlo che fece quella persona venuta a eseguire l’incarico». La loquacità della nipote dell’antico fattore di casa Sarfatti è prodigiosa, perché raggiunge anche le pieghe più intime delle abitudini quotidiane di Donna Margherita. «Una volta ero lì al Soldo e mio zio Panfilo aveva preparato il prato perché la signora potesse prendere il sole. Spesso la Sarfatti si esponeva nuda ai raggi solari. Quel giorno, ad un certo punto, la si sentì gridare: "Panfilo, Panfilo! Pietro! Venite qua con lo spray! C’è una vespa!". Allora c’era il ddt e il molesto insetto venne prontamente stecchito con una micidiale scarica di veleno».
Ma il vecchio Pietro Tettamanti, il 7 gennaio 1953, venne sopraffatto da una crisi d’asma. Aveva 79 anni. Adriana Turconi conserva ancora la lettera di condoglianze autografa che Margherita Sarfatti inviò da Roma alla vedova. Il documento, inedito, è datato 9 gennaio ’53, e vi si ritrova l’intima e sincera commozione di una donna che perde il fedele servitore d’una vita: «Cara la mia buona e brava Bigia, penso a te con tanta tristezza e tanto affetto. Ho sempre voluto bene a Pietro come a una persona di famiglia. Lui lo meritava per la sua vita di lavoro, di bontà, di onestà operosa scrupolosa e perfetta. Se vi è stato al mondo un gran galantuomo e un bravo lavoratore, è stato Pietro. E tu, cara Bigia, nel tuo grande dolore puoi confortarti almeno pensando che avete vissuto tanto anni insieme d’amore e d’accordo, e che non gli hai mai dato un dispiacere, anzi sei stata la sua buona e fedele compagna. Pietro è andato a raccogliere il premio di tutte le sue opere buone e virtuose. Che il Signore benedica lui e la sua memoria, e te, e i figli e tutti noi, e che Pietro preghi per noi tutti. So che mi voleva veramente bene. Ti abbraccio con tutti i tuoi figli. Affezionatissima Margherita G. Sarfatti».
Questo documento è interessante, perché testimonia, una volta di più, l’adesione della Sarfatti al cristianesimo. Una lenta conversione che procedette con ritmi naturali, senza scossoni, giungendo al suo compimento negli anni del tramonto. Al Soldo, la morte giunse portandosi via Margherita Sarfatti nel sonno, a 81 anni, la notte tra il 29 e il 30 ottobre 1961.
Roberto Festorazzi
(2. continua)
© RIPRODUZIONE RISERVATA