Cultura e Spettacoli
Sabato 14 Marzo 2009
Carla Porta Musa oggi ha 107 anni
Tra i ricordi, l'oltraggio all'amica Sarfatti
Alla morte della signora della villa del Soldo a Cavallasca dalla casa sparirono tele di Picasso, Boccioni e Cocteau
Si concludono - con i ricordi inediti della scrittrice Carla Porta Musa, che oggi compie 107 anni - le tre puntate sui cent’anni della Villa Il Soldo di Cavallasca (Co), attraverso la vita e le amicizie di Margherita Sarfatti, celebre critico d’arte del ’900.
Roberto Festorazzi
La mattina del 30 ottobre 1961, il cadavere di Margherita Sarfatti era già freddo nel letto, quando il taxi con a bordo Carla Porta Musa percorse il viale di tigli che conduceva al Soldo. La cameriera, dal cottage di Cavallasca, dopo le 8 e mezza aveva composto il numero di telefono della scrittrice comasca annunciandole, concitata: «La mia signora è morta! Venga subito!».
Era tutto vero, purtroppo. La regina del Soldo si era spenta nel sonno, e solo dopo essere giunta nella casa color ciclamino Carla Porta Musa comprese la ragione dell’insistenza con la quale Margherita aveva cercato di riunire tutti gli amici lariani, alla vigilia della sua partenza per Roma. «Vieni a trovarmi, perché magari è l’ultima volta che ci vediamo», le aveva detto per telefono dandole appuntamento in modo insolitamente perentorio. Così, domenica pomeriggio, il 29 ottobre, Porta Musa era salita a Cavallasca per quello che sarebbe stato un addio.
I sei giri di perle
«Puoi dunque capire come rimasi attonita, quando, l’indomani mattina, mi venne comunicata la notizia che la Sarfatti era morta», mi dice la decana degli scrittori italiani, 107 anni. Margherita sapeva che non sarebbe mai più tornata al Soldo, perché aveva interpellato Dante, aprendo a caso un grosso volume delle opere dell’Alighieri come faceva di solito per diradare le nebbie, e aveva scoperto che non sarebbe giunta a festeggiare il suo ottantaduesimo compleanno, l’8 aprile 1962. Al Soldo, quella mattina, Carla Porta Musa prese le redini della situazione: «Chiamai subito il figlio Amedeo, che lavorava in una banca, a Parigi, e la figlia Fiammetta. Dissi loro: "Io non mi muovo da qui fino a quando non arriverete"». Poi, nella stanza del Soldo dove riposava il corpo di Margherita, si verificò un piccolo giallo. L’amica defunta possedeva sei file di perle vere, non coltivate. Porta Musa conosceva, fin nelle minuzie, i vezzi e le abitudini della Sarfatti: lei stessa le aveva raccontato che nascondeva i suoi gioielli (tra cui tre brillanti) in piccole scatole di latta, dove normalmente si tengono aghi, filo e bottoni. «Cinque file di perle le trovai lì, ma la sesta non saltava fuori», rievoca la scrittrice comasca. Situazione decisamente imbarazzante, perché, di lì a poche ore, sarebbero giunti i figli di Margherita. Carla si mise a cercare un po’ dappertutto, a caso, ma invano. Finché la sua attenzione andò a posarsi su un particolare. «Nella camera di Margherita c’era un camino, che teneva quasi sempre acceso, e che in quel momento naturalmente era spento, e sopra il quale c’era una pendola. Io guardai sotto la pendola, e scovai la sesta fila di perle».
Ma le sorprese non erano finite, come racconta la testimone di quelle ore angosciose: «Quando si diffuse la notizia della morte della Sarfatti, al Soldo si presentò una gran quantità di persone, che si spacciavano per giornalisti, ma in realtà vi si erano introdotti anche degli imbroglioni venuti a curiosare, perché alle pareti c’erano dei Boccioni, un Picasso, un Cocteau. Quando giunsero i figli, volli avvertire del pericolo Fiammetta: "Guardate che sono venuti individui sospetti presentatisi come giornalisti. Vi consiglio di portare i quadri a Roma, oppure di depositarli in banca". La figlia mi rispose: "Ma chi vuoi che li venga a rubare!"». Non molto tempo dopo, nel viale che dal villino conduce alla strada provinciale fu abbandonato un cimitero di cornici vuote: i dipinti erano scomparsi.
Margherita Sarfatti aveva reso l’anima a Dio, nel suo Soldo, come forse aveva segretamente desiderato. Anche durante quell’estate, come di consueto, sul far della sera, si era avviata, camminando sempre più a fatica, verso il vicino colle di Salvadonica, per contemplare in solitaria meditazione il tramonto rosso fuoco. Aveva trascorso le ultime settimane della sua vita nel consueto fervore creativo, scrivendo e consegnando proprio a Carla Porta Musa - perché lo spedisse - un articolo per il quotidiano Roma di Napoli. Racconta l’ultracentenaria letterata: «Quell’autunno, insieme a un’altra amica, ci recammo a Mantova alla mostra del Mantegna. A Palazzo Ducale, Margherita ci spiegò la famosa camera degli sposi, con una sottigliezza e una profondità straordinari. Restammo a bocca aperta, pendevamo letteralmente dalle sue labbra». Quel 29 ottobre, dopo aver conversato piacevolmente l’intero pomeriggio, la signora del Soldo desiderava trattenere la sua amica. «La cuoca per pranzo ha preparato dei tortelloni speciali. Ne sono avanzati un po’: resta, così li facciamo in brodo», propose la Sarfatti. Ma l’ospite si schermì: «Scusami, cara, ma non voglio lasciare mio marito a cena da solo».
Cavallasca, amore di una vita
A quel punto, quando il taxi giunse davanti al villino, accadde una cosa che non si era mai verificata prima. «Margherita riempì il bagagliaio dell’auto di mazzi delle sue ortensie blu. Io le portai a casa e le appesi, all’ingiù, a una parete della cantina: si conservarono per moltissimo tempo». A sorpresa, tra le sue ultime volontà, la Sarfatti aveva incluso disposizioni per essere sepolta nel piccolo cimitero di Cavallasca. Il 1° novembre, venne celebrato il funerale, nella chiesa parrocchiale: lungo il corteo, il feretro venne scortato dagli alpini del gruppo locale, di cui aveva voluto essere la madrina, in ricordo del figlio Roberto, medaglia d’oro della Grande Guerra, immolatosi a 17 anni sul Col d’Echele. È bello immaginare ora che dall’ultimo giaciglio di pietra Margherita Sarfatti possa continuare a godere quei suoi tramonti infuocati.
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