Cultura e Spettacoli
Domenica 10 Maggio 2009
"Mi ha salvato dal lager
e mi insegnò a non odiare"
Roberto Furcht, ebreo, dal '43 al '45 si nascose sotto falso nome al Gallio
Ad accoglierlo fu l'allora rettore, "Giusto delle Nazioni" a lungo ignorato
Salvato dalla deportazione, sottratto all’orrore del lager nazista. Aveva 14 anni Roberto Furcht quando trovò a Como un rifugio sicuro presso il Collegio Gallio. Ad aprirgli le braccia fu il padre somasco Giovanni Ferro che dal 1938 al 1945 fu rettore del collegio e non esitò a nascondere il giovane ebreo fornendogli i documenti falsi. Roberto De Karli, secondo il nome provvisoriamente acquisito nel periodo della clandestinità dal ’43 al ’45, oggi recupera per intero una memoria incancellabile segnalando un nuovo eroe da annoverare fra i "giusti" che si attivarono per salvare la vita agli ebrei perseguitati. Giusti tra le Nazioni sono definiti dal museo dell’Olocausto di Gerusalemme, lo Yad Vashem, quegli uomini non ebrei che rischiarono la propria vita per salvare altre vite minacciate dalla Shoah. E padre Giovanni Ferro è certamente uno di questi eroi: anche se a lungo ignorato dalle pagine di storia e dagli elenchi ufficiali, ha lasciato un segno profondo nel contesto lariano che risale agli anni del grande conflitto mondiale e che già porta impresso il nome di un altro comasco, Giorgio Perlasca, la cui vicenda fu descritta nel libro di Enrico Deaglio La banalità del bene e ampiamente divulgata quando uscì il film televisivo dedicato appunto all’"eroe italiano". A distanza di quasi 65 anni, per la prima volta Roberto Furcht decide di ritornare su una pagina inquietante di quel periodo storico che, a livello personale, fu attraversato dal bagliore di una testimonianza luminosissima e mai dimenticata: «Per me tornare al collegio Gallio, ricordare dopo tanti decenni quegli anni così particolari della mia giovinezza, è come tornare a casa. Considero questo evento una cosa singolare, un fatto miracoloso» ammette Furcht che alla fine della guerra sembrò lasciarsi definitivamente alle spalle quei ricordi per prendere le redini dell’azienda di famiglia, di importazione e commercio di pianoforti, consolidata nel tempo potenziando creatività e innovazione, impresa e arte musicale. «Per me ebreo, quel sacerdote cattolico che mi offrì un rifugio, è stato come un padre. Ma non mi riferisco soltanto al senso di sicurezza e protezione di fronte alla minaccia e al pericolo che si potrebbero immaginare oggi. Allora non avevamo la reale percezione di quel che sarebbe potuto accadere, la realtà vera si è saputa dopo, grazie a Dio» riferisce l’ex-allievo del Collegio Gallio, oggi alla soglia degli 80 anni, ricordando la grandezza d’animo di un maestro di vita che gli ha insegnato soprattutto a vincere ogni sentimento di odio e di intolleranza. Anche nei periodi in cui affiorarono critiche alla gerarchia ecclesiastica accusata di poco coraggio nella denuncia delle leggi razziali, l’esempio di padre Ferro, testimone umile e saldo, pronto a difendere ogni persona, rappresentava una risposta edificante e persino clamorosa. Se ne trova conferma anche negli annali custoditi al collegio Gallio, in particolare in una breve cronaca del concerto realizzato nel 1994 in sua memoria, a due anni dalla morte, nella quale affiorano alcuni tratti decisivi della sua personalità: «Fu un uomo forte nella fede, audace nella carità. Già al Gallio, come poi in altri contesti dove esercitò il suo ministero pastorale (ricordiamo i 27 anni trascorsi come arcivescovo di Reggio Calabria), padre Ferro mostrò la sua statura spirituale che qualcuno definì "ad impianto di antenna": sempre collegato a Dio... trasmette con la sinfonia di tutta la sua vita il rispetto della dignità di ogni uomo fatto a immagine di Dio, genera riconciliazione, costruisce pace, intesse rapporti di giustizia e fraternità universale». Dopo il 25 aprile del ’45 il collegio aprì le porte ad altri personaggi che necessitavano protezione: fu ancora padre Ferro - come ricorda l’attuale rettore padre Luigi Amigoni - ad accogliere in quel periodo Vittorio Mussolini, figlio del duce, e con lui Vanni Teodorani, marito della nipote Rosina Mussolini, e altri parenti trasferiti sul Lario. «Non faceva differenze, salvaguardava sempre l’essere umano e ne rispettava profondamente la libertà: il suo era vero ecumenismo. Mi ha trasmesso un senso di grande speranza...» ribadisce Roberto Furcht più di ogni altro erede di una sapienza che cambiò il corso dell’intera sua esistenza. E che, solo a distanza di decenni, ha deciso di rompere un lungo silenzio: «Il passato ci insegna tanto, ma non occorre mettersi in prima fila per trasmetterne i principi... Ma da quando, nel 2008, è stata aperta la causa di beatificazione di padre Giovanni Ferro, voglio essere suo testimone, desidero raccontare la storia di un santo».
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