Cultura e Spettacoli
Mercoledì 29 Luglio 2009
Piccolo mondo antico,
scatti in bianco e nero
Una selezione delle straordinarie foto di Ignazio Vigoni pubblicate dalla Società Archeologica Comense e del Centro Italo-tedesco di Villa Vigoni. Furono scattate negli anni Cinquanta e Sessanta: documentano un Lario ormai scomparso
Un lago in bianco e nero. Un lago che deve il suo fascino non allo scintillare dei colori ma alle infinite sfumature del grigio, alla composizione dell’immagine e soprattutto al rigore documentario dei dettagli, che ripropongono un mondo oggi largamente estinto. È quello che emerge dalle pagine di "Lo sguardo e l’obiettivo. Ricerche storico-artistiche e fotografiche nelle Antichità Lariane di Ignazio Vigoni", pubblicato a cura della Società Archeologica Comense e del Centro Italo-tedesco di Villa Vigoni. Si tratta di una selezione delle immagini più significative delle circa 2200, scattate soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, corredate dalle relative schede, che costituiscono il legato testamentario di Ignazio Vigoni alla Società Archeologica Comense.
Il volume, curato da Fabio Cani dello Studio Nodo, rappresenta insieme la testimonianza preziosa di una stagione ormai largamente (anche se non totalmente) tramontata e dell’attitudine di Ignazio Vigoni nel quale - scrive Gregor Vogt-Spira - «lo studio, la ricerca e la documentazione del passato costituivano il necessario fondamento su cui immaginare e garantire il futuro», aggiungendo «la conoscenza meticolosa del territorio, la paziente raccolta di dati, l’attenzione per le arti minori, per il mondo rurale, per una tradizione artigianale che proprio sul lago di Como poteva vantare illustri esempi: ecco solo alcuni degli aspetti che meglio tratteggiano una sensibilità certamente all’avanguardia, rispetto ai canoni culturali di allora». È una sensibilità che si coglie dunque nella riproduzione delle opere d’arte sacra (altari, dipinti, edicole, statue, crocifissi) ma anche e soprattutto nei fotogrammi che propongono paesaggi, o vicoli dei villaggi, cascine o edifici civili, o addirittura particolari architettonici, motivi decorativi, stemmi e chiavi di volta. Già la scelta dell’immagine di copertina è tutto tranne che casuale. La didascalia dice: "Premana, Casa rurale con balcone in legno", 1965. Lo scatto documenta il gioco di due bambini di fronte alla facciata di una casa che, nella parte inferiore, la luce radente scava evidenziando le singole pietre che formano le pareti, e in quella superiore evidenzia il legno scuro di due balconate nelle quali spiccano i panni stesi ad asciugare. Un documento di vita quotidiana, profondamente antiretorico e pervaso da un sottile lirismo. È una foto significativa perché ne anticipa ed esemplifica molte altre contenute nel volume, nelle quali l’intento documentario mette capo non di rado ad esiti diversi. Così la «Cappella campestre» sulla strada fra Osteno e Laino, o il campanile della chiesa di San Vittore a Brienno, sullo sfondo di un lago invernale avvolto in un grigiore del quale sembra di sentire l’umidità o ancora, sempre a Brienno, il «Vicolo con scalinata» che propone uno scorcio di uno stretto viottolo nel quale l’unico rimando a una presenza umana è una gerla abbandonata sulle pietre del selciato. Un discorso a sé meritano statuette, altorilievi, lapidi e perfino chiavistelli, che - sia pure con mezzi tecnici che mostrano i limiti dell’epoca e in condizioni di ripresa non sempre facili - sono oggetto di un’attenzione si direbbe affettuosa e sembrano raccontare ognuno una propria storia. Così come certi oggetti appartenenti a un mondo di consuetudini oggi scomparse. Caso emblematico, nella chiesa di San Gregorio a Plesio, una doppia borsa per la raccolta delle offerte (una bianca e una nera) "pro vivis atque defunctis". Si tratta di testimonianze che a mezzo secolo di distanza assumono un sapore e un valore particolari. Come nel caso di un tipo di costruzione di eccezionale interesse, i «Casolari a tetto di paglia» fotografati nel 1953 a San Nazzaro Val Cavargna, quando ancora erano utilizzati e sottoposti a regolare manutenzione.
«Casolari adibiti a stalla - si legge nella didascalia - con sovrastante fienile. Pianta rettangolare, seminterrato con muri maestri di pietre locali grossolanamente squadrate e malta di calce e sabbia. Porta di accesso in testa. Finestre di piccolissime dimensioni. Tetto a due falde a fortissima inclinazione, con colma spesso sporgente (usanza germanica). Travatura leggera di castagno. Ricopertura di paglia di segale, trattenuta ai lati della colma da due aste di legno e bastoni che si incrociano sopra la colma. Numerose pietre sono trattenute da tali aste e fanno parte del sistema». Gli esempi potrebbero continuare, perché quasi ogni pagina del volume offre al lettore una scoperta, una curiosità, un dettaglio che getta una luce nuova sul modo di vivere, in quegli anni, lungo le valli del Lario, sul patrimonio di tradizioni, di abitudini, di lavoro di quelle terre. Ne fa parte la lastra marmorea fotografata nella chiesa di San Martino a Castello di Valsola con al centro la forma di un piede. «Questa è la vera forma dela pianta del pe…» di Nostro Signore - vi si legge - insieme alla promessa dell’indulgenza plenaria per chi visiti e tocchi la forma con le mani. La sagoma del piede luccica pur nell’incerta definizione dell’immagine in bianco e nero e pare d’intuire una superficie marmorea resa liscia e brillante dallo sfregamento devoto, nel corso degli anni, di migliaia di mani.
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