Linati e Joyce,
lettere riscoperte

Ritrovate in Biblioteca comunale, a Como, le missive in cui lo scrittore lariano scriveva all'editore Facchi, comunicando di lavorare alla traduzione dello scrittore irlandese: era il 1919. Linati, di cui a dicembre ricorrono i 60 anni della morte, fu il primo traduttore italiano di Joyce.

di Vincenzo Guarracino

Di carte ce ne sono molte in due cartelle, di cui una interamente a lui intitolata, custodite nel "Fondo Manoscritti" della Biblioteca Comunale di Como (un Fondo che forse meriterebbe di essere incrementato con acquisti o donazioni da parte di privati). Lettere, cartoline postali, bozze di racconti e poesie, foto e perfino appunti di un contratto con il milanese editore Facchi, relativo alla pubblicazione di "Amori erranti" (1921), per la cui prima edizione l’autore chiede a mo’ di compenso la cifra di lire 700. Il personaggio in questione è Carlo Linati, scrittore comasco "prettissimo" quant’altri mai, di cui quest’anno ricorre il 60° anniversario della morte, avvenuta l’11 dicembre del ’49 nella sua villa di Rebbio (la Cantalupa del romanzo omonimo), giusto là dove, all’ombra di Monte Caprino, era nato 71 anni prima, il 25 aprile del 1878.
Nella prima cartella, contenente due lettere, una è di Bontempelli del 1954, la seconda è appunto di Linati ed è indirizzata nel settembre del ’49 all’amico commediografo Giovanni Cenzato redattore del "Corriere della Sera", per ringraziarlo dell’invio del suo libro "Itinerari verdiani" e per riconfermargli la propria «ormai vecchia amicizia». Nella seconda corposa cartella, di materiale ce n’è ben di più e tutto di grande interesse. In ordine: due lettere a tal Fichera (1935), in risposta a una sua richiesta di un testo da includere in un’antologia intitolata "La zampogna"; una poesia intitolata Rifugio, in cui si parla di tre donne, tre "Amazzoni della neve", colte in mezzo agli sguardi ammirati e cupidi degli avventori di un rifugio alpino e in procinto di partecipare a una gara di fondo a Cortina, che con la loro sensuale avvenenza sembrano uscite da una pagina di Catina (in "Nuvole e paesi", ’19); una prosa abbastanza inquietante del ’28, nel filone di "Storie di bestie e di fantasmi" (1925), in cui si parla di uno Spirito che aleggia nella casa, con il protagonista Remo che aspetta «coll’ansia alla gola», pronto se mai a sparare («Pistola mia, aiutami!»); un ironico ritratto en touriste (così lo ha definito Arturo Della Torre, lo studioso che maggiormente s’è adoperato per salvare la memoria dello scrittore); il frammento di una prosa dal titolo "Amor vincit omnia", in cui compare uno scenario di saline, di abbagliante biancore, nei pressi di Ravenna; una lettera del ’25, infine, al direttore della Biblioteca di Como per ringraziarlo dell’aiuto fornitogli durante le sue "piccole ricerche" manzoniane, probabilmente per il libro "Sulle orme di Renzo" (si accenna non a caso, credo, a un "articoletto" sul Convento di Pescarenico); una lettera del ’24 a un editore (il nome è cassato ma si intuisce essere il Facchi), per chiedergli di consentirgli la ristampa gratuita della traduzione di "Tragedie irlandesi" di W.B.Yeats, a favore di un editore torinese; una lettera, infine, a tal Negri, «improvvisatore incomparabile», per ringraziarlo di un libro inviatogli e per il sonetto che ha voluto dedicargli in accompagnamento del dono; e infine cinque cartoline postali, indirizzate tra il febbraio e l’aprile del ’19 all’editore Mino Facchi, a guerra appena ultimata.
Carte, come si vede, tutte in vario modo interessanti, che abbracciano un vasto arco di tempo, dal ’19 al ’49, e che riflettono situazioni e stati d’animo ovviamente molto differenti. Qui, però, quel che attira maggiormente l’attenzione sono sicuramente le cinque cartoline al Facchi, oltre che per l’immagine un po’ liberty del medium postale, per il fatto che aprono una finestra su un certo costume culturale e imprenditoriale, in cui è ancora possibile coltivare progetti ed interessi economici dandosi del tu, come tra vecchi amici. Un mondo oggi scomparso e non solo perché i suoi protagonisti appartengono a un passato già da un pezzo archiviato. Il Facchi, infatti, raffinato editore milanese con un nutrito catalogo di opere di narrativa (Poe, De Pisis, Sarfatti, tra gli altri), cessò le pubblicazioni, come si desume dalla lettera citata a proposito della traduzione di Yeats intorno al ’24, dopo essere stato editore col suo nome o con la sigla Studio Ed. Lombardo di altre opere dello stesso Linati e soprattutto della celebre rivista di Marinetti "Poesia". Le cartoline in questione recano data e timbro postale di Breganze (Vicenza), da dove il "tenente" Linati, assieme alle sue incombenze di aggregato in qualità di ufficiale di censura della 39ª Compagnia Telegrafisti, trova il tempo per coltivare le sue relazioni di scrittore già discretamente affermato, come traduttore-interprete (oltre Yeats del ’14, le "Commedie irlandesi" di A. Gregory del ’16 e "Il furfantello"diJ.M.Synge nel ’17) e autore ("Duccio da Bontà" del ’12, un’autentica rivelazione, «impregnata di florida e campestre sensualità e di panico amore per la natura», secondo il Della Torre).
Dalla prima, dunque, del 27 febbraio, forse la più interessante, col rombo del cannone ancora nelle orecchie, apprendiamo che, oltre ad aver appena terminato «un manoscritto breve di una cinquantina di pagine "Sull’orme di Renzo"», è in contatto niente meno che con l’irlandese James Joyce, che nell’autunno precedente gli ha inaspettatamente scritto inviandogli una novella, "A portrait of the artist". Per ora, le trattative non avanzano, ma più tardi, nel ’20, uscirà sul "Convegno" (n.1-2) la traduzione di "Exiles" e sarà l’inizio di una duratura collaborazione tra i due che porterà alla traduzione di "Stefano eroe" e di brani dell’"Ulisse" (tramite, questo, che lo farà entrare più tardi in contatto anche con Ezra Pound, Lawrence ed Hemingway). Dicevo di progetti che qui vanno prendendo corpo e si alimentano (nelle lettere del 23 marzo e del 14 aprile si parla ad esempio dei racconti di "Natura" che usciranno in quello stesso ’19, oltre alle prose di "impressionismo" manzoniano di "Sulle orme di Renzo") ma anche di letterati (Prezzolini e Papini che compaiono nella lettera del 14/4) e di amare delusioni (l’insuccesso di Furfantello, al "Niccolini" di Firenze, tanto da meditarne un drastico aggiustamento, e il progetto di una "grandiosa" rappresentazione di "Deirdre" di Synge con la grande Lyda Borelli, mai andato in porto). Un’officina fervida, insomma; un comasco che di fronte alla crisi e alla guerra non sta con le mani in mano e si rimbocca le maniche: è quello che viene fuori da questo piccolo spaccato di vita provinciale e di cui il medium epistolare ci fornisce una piccola ancorché preziosa riprova.

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