Ma il truce Barbarossa
non era poi così male

È al 6° posto tra i film più visti, il «Barbarossa» di Renzo Martinelli, con Rutger Hauer (Federico I) e Raz Degan (Alberto da Giussano), bersagliato alla grande dai critici. Ma come andarono davvero le cose tra Como e l’imperatore? Ne scrive per noi una delle maggiori studiose europee di quel periodo storico.

di Livia Fasola

Spezziamo una lancia in favore della storia in generale e di quella di Como in particolare! Del Barbarossa i comaschi non si dovrebbero tanto interessare grazie a un film fatalmente romanzato, farcito di significati politici estranei al sec. XII e basato sui rapporti dell’imperatore con Milano (molto alla lontana: fra l’altro il traditore milanese è un personaggio storico, ma di nome Giordano Scaccabarozzi). Ben diversi i suoi rapporti con Como, da circa mezzo millennio città di serie B sottoposta a Milano, e anzi qualche decennio prima da essa distrutta nella guerra decennale.
Quanti comaschi ricorderanno che nel 2009 ricorrono 850 anni da quando finirono sia l’antica dipendenza politica e amministrativa da Milano sia la recentissima oppressione militare coi suoi pesanti risvolti anche economici, grazie alla visita di Federico I nel 1159 (quella rievocata nel Palio del Baradello)? Già all’inizio della prima discesa in Italia (1154-55) egli aveva ascoltato le lamentele accorate dei consoli di Como (e di Lodi e Pavia), ma senza ottener dai milanesi la rinuncia alle loro pretese di governo su Como nonché alle «guerre e continue vessazioni»; miglior sorte non aveva avuto, poco prima di ripassare il Brennero, mettendo al bando «i milanesi per i loro enormi delitti», «perché con audacia temeraria e spirito sacrilego hanno distrutto nel modo più empio, nell’esercizio di un potere ingiusto, le famosissime città italiane di Como e Lodi, proibendone con violenza la ricostruzione». Nella seconda discesa (1158-62), indetta contro Milano e aperta con un primo breve assedio, fra i patti di resa (1.IX.1158) aveva imposto anzitutto che i suoi abitanti "non impediranno la ricostruzione delle città di Como e Lodi per l’onore dell’impero, e d’ora innanzi non le attaccheranno né distruggeranno, astenendovisi ... da ogni imposizione di tributi e non intromettendovisi più, affinché quelle città siano libere così come i milanesi sono liberi da loro». A far ricostruire Como, cioè soprattutto le sue mura, col Baradello in funzione antimilanese, provvide sei mesi dopo, a inizio marzo 1159, nella prima visita in città, seguita dalla ricognizione del lago almeno fino a Menaggio (6 marzo) per bonificarlo da filomilanesi come l’Isola Comacina, un flagello per le intense comunicazioni transalpine via Lario. Da Lodi rilasciò poi un diploma di speciale protezione imperiale per «i nostri uomini della città di Como, finora tutti assolutamente speciali nel dar prova di fedeltà ai nostri predecessori imperatori e re, e che per la grandezza della loro fedeltà sono stati esposti a moltissimi pericoli da parte dei nemici e dei quali abbiamo anche ricostruito integralmente la città ridotta in cenere» (23.III.1159). E qualche anno dopo, certo implorato da quei fedeli, almeno una volta condonò «ai consoli comaschi e al popolo» due imposte arretrate a lui dovute!
Dopo una sofferta partecipazione comasca alla neonata Lega lombarda, nella quinta discesa (1174-78) l’imperatore ne recuperò la fedeltà con dei privilegi, «desiderando per la nostra magnificenza onorare ed esaltare nel nostro tempo quella città di Como che abbiamo trovato distrutta e che con la nostra benignità abbiamo ricostruito» (21.V.1175). Fu così che a Legnano (29.V.1176) con lui c’erano truppe comasche, quasi tutte catturate e distribuite fra le città della Lega: un’immane tragedia umana, ma anche politica e finanziaria per via del riscatto. Nonostante una nuova breve adesione forzata alla Lega, entro cui Como figura nella tregua di Venezia (1177), la questione era tuttora irrisolta quando Federico stava per ripassar le Alpi via Moncenisio, e a Torino fu raggiunto da Arialdo da Lucino con un altro emissario comasco, disperati. Gli spiaceva proprio tantissimo data «la vostra egregia fedeltà e virtù da noi constatata al nostro servizio», ma poteva soltanto promettere «aiuti efficaci appena potremo» e far molto poco al momento «poiché il permesso del giudizio divino ha deciso con duri eventi di consegnarvi al potere dei vostri nemici per il nostro dolore e danno»: «riguardo ai vostri prigionieri, per il loro rilascio e per la pace duratura di voi tutti» autorizzò Como a «stipular coi milanesi quel tipo di trattato che la loro arroganza ora richiede e la necessità della vostra salvezza impone, purché conserviate le vostre persone salve e libere, e la vostra città integra, e le fortezze dei vostri castelli integre e in vostro potere» (14.VI.1178). L’indomani, certo grazie agli insoddisfattissimi comaschi, ricordò di esser tenuto «a mantenere integri i diritti di quanti risultano aver conservato verso l’impero una fedeltà indefessa e non hanno temuto di affrontare per noi dei pericoli»: dichiarò nulli «tutti i trattati futuri e anche passati, stipulati in stato di necessità coi milanesi per riscattare i propri prigionieri», autorizzandoli a recuperare, con o senza aiuto imperiale, pievi e luoghi già ceduti a Milano. Di nuovo dalla parte di Federico quando a Costanza siglò la pace con la Lega (1183), i comaschi avranno un po’ temuto per la "libertà" da Milano che aveva loro

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