Artisti dei laghi
alla conquista
dell'Est Europa

Tra il '600 e il '700 emigranti di lusso in Boemia: all'Archivio di Stato di Como presentato un film su questa storia poco nota dei Magistri Cumacini lariani


di Andrea Bonavita e Marco Leoni


Comacini, antelami, lombardi, ticinesi stanno ad indicare fin dal Medioevo gli uomini delle terre tra Lario e Ceresio, protagonisti di uno dei fenomeni più straordinari del nostro territorio, quello dell’emigrazione artistica. Si tratta di un flusso ininterrotto di maestranze che partono «per il mondo a procaciarsi il vitto, chi a far il muratore, et chi il stuchatore, scultore et pittore», riuscendo a mantenere intere comunità in patria «con l’industria delle loro arti». La necessità che fa muovere le genti deriva infatti dall’abitare una terra avara di frutti, che ha tuttavia consentito ai suoi abitanti di sviluppare un "saper fare" nella lavorazione dei materiali da costruzione invidiato e ricercato da molti.

In principio è la pietra

In principio è la pietra, e dalle regioni dei laghi, almeno a partire dall’XI secolo, i "magistri lapidum" si muovono verso i centri dell’attività edilizia: sono organizzati in compagnie, spesso a conduzione familiare, guidate da un gruppo di maestranze imparentate tra loro e pronte a trasmettere l’arte ai più giovani. Nel XII secolo la loro opera viene richiesta nei cantieri delle grandi cattedrali padane, a motivo della loro capacità di garantire una presenza continuativa ed una forte organizzazione d’impresa, oltre che di gestire tutte le fasi costruttive e, se necessario, anche la progettazione. L’importante percorso della via Francigena favorisce la penetrazione nei territori senesi (XI-XIII secolo) e nella Toscana meridionale, mentre Pisa è un importante centro di attrazione e irradiazione delle compagnie lungo la costa tirrenica. A Siena i "Lombardi" sono considerati specialisti nelle costruzioni in pietra e vengono impiegati nei cantieri delle fortificazioni del contado e nella fabbrica del Duomo Nuovo. Laddove il mercato del lavoro non dà segni di cedimento la migrazione diventa ciclica. Nel primo Quattrocento squadre di magistri sono ancora impiegate a Pisa alla sistemazione del Camposanto e a Siena i "Lombardi" prevalgono progressivamente sugli operatori locali: nel 1462-64 l’80% dei muratori, il 70% dei manovali e il 49% dei fornaciai cittadini provengono dalle terre dei laghi. I magistri lapicidi mantengono spesso il monopolio del mercato di compravendita e lavorazione della pietra da costruzione, come avviene a Venezia nel cantiere di Palazzo Ducale sullo scorcio del XV secolo, o come capiterà in maniera continuativa a Roma fino a tutto il ’700 con l’opera dei "Ticinesi".

Nuove migrazioni

Alla redistribuzione dei centri di potere su un contesto territoriale più vasto segue una migrazione su distanze sempre più grandi. Nei cantieri cinquecenteschi promossi in Spagna da Carlo V e Filippo II i reali, proseguendo una secolare tradizione di apprezzamento delle maestranze lombarde, le richiedono dal Ducato di Milano. Oltralpe la generale esigenza di un aggiornamento di gusto e la necessità di testimoniare il legame religioso con la Chiesa di Roma dopo la Riforma protestante, alimentano un flusso di artisti "italiani".

I magistri a Praga

L’avvento dei magistri d’arte a Praga risale ai primi decenni del Cinquecento quando alcune maestranze a servizio di Bernardo Clesio in Trentino lo seguono nella città boema presso Ferdinando I, divenuto sovrano nel 1526. Vengono poi ingaggiati architetti comaschi e luganesi per realizzare una più efficace rete di fortificazioni al fine di fermare l’avanzata ottomana; dalle opere militari, i magistri passano presto alle committenze civili, imperiali e religiose. La nobiltà boema, profonda amante della cultura italiana, accorda loro di buon grado numerose commesse: Carlo Lurago, Silvestro Carlone, Giovan Battista Aliprandi, gli stuccatori Tommaso Soldati e Santino Cereghetti, Giovanni Domenico Orsi, i Canevale, i Corbellini, Bartolomeo Scotti sono alcuni dei nomi più ricorrenti in un secolo di "mestiere del costruire" a Praga. Gli artisti che si stabiliscono definitivamente in città si insediano lungo una strada del quartiere di Malá Strana, che ben presto prende il nome di Vlašská Ulice, la via degli Italiani. La loro presenza è numericamente così rilevante che sorgono istituzioni a sostegno della vita della comunità emigrata. La Congregazione Italiana, nata nel 1573 per scopi religiosi e caritatevoli, erige presso il Collegio dei Gesuiti del Clementinum un proprio oratorio in cui ascoltare la messa in italiano, e si occupa della realizzazione e gestione dell’ospedale degli italiani dedicato alla Vergine e a san Carlo Borromeo. Praga, pur distinguendosi per qualità e quantità di opere dei nostri, non esaurisce la testimonianza della diffusione di maestranze nell’Europa continentale: a cavallo fra il XVII ed il XVIII secolo la presenza degli artisti è massiccia in una vasta area che comprende principalmente le attuali Germania, Austria, Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. Ultima colossale impresa nella costruzione dell’immagine di un impero e di una capitale desiderosa di competere con i più importanti centri europee sarà l’"invenzione" della città di San Pietroburgo, caparbiamente voluta dallo zar Pietro il Grande nel 1703 ed innalzata nel corso dei successivi 150 anni anche grazie all’opera dei magistri dei laghi.


Una delle vicende che scaturiscono dai documenti custoditi all’Archivio di Stato è quella del "garzone" Marcantonio Canevale di Lanzo che nel 1682, proprio alla fine del mese di febbraio, stipula con un suo omonimo Maestro Marcantonio Canevale un patto che tecnicamente viene definito «pactum ad artem» e cioè un contratto di apprendistato, in cui il ragazzo si impegna a seguire il maestro per imparare l’arte del muratore, che costui nella fattispecie esercita a Praga e in altri paesi d’Europa, per lo spazio di cinque anni (le spese di viaggio erano distribuite fra il garzone che anticipava 3 ungari - anche in Valle Intelvi circolava moneta straniera - ed il maestro che, intascati i soldi, prometteva di spesarlo durante il lungo itinerario).
Ma, attenzione! non è come si può pensare a prima vista l’insegnamento pratico del fare un poco di malta, trasportare pietre, al massimo alzare un muro e cioè un mestiere generico e privo di "sapienza". Il nostro garzone nel primo anno dovrà attendere invece a imparare «a delineare e a disegnare» e in particolare a parlare il boemo. L’arte del muro era a quei tempi una professione complessa che, con l’esperienza pratica, necessitava di abilità tecniche teoriche che spesso venivano insegnate sul campo.
Naturalmente il maestro aveva un buon numero di obblighi: innanzitutto insegnare l’arte «con ogni amore e diligenza», senza trascurare nulla di ciò che era in suo possesso, una clausola che potrebbe sembrare trascurabile o generica o troppo familiare, ma ricca di implicazioni giuridiche. Il garzone doveva comportarsi bene, essere obbediente, servire il padrone con cura e avere cura degli strumenti e degli oggetti del padrone, né commettere furto e neppure permettere che fosse perpetrato da altri. Fra gli obblighi del maestro vi erano ancora quelli del nutrire e vestire il ragazzo, di mantenergli le scarpe ed i panni lavati e, al termine dei cinque anni di apprendistato, nei quali erano concessi gratuitamente soltanto quindici giorni di malattia continuativi (gli altri in eccedenza dovevano essere recuperati, comprese le assenze «senza causa legittima», taluni contratti prevedevano anche l’eventuale fuga, a dimostrazione della disciplina cui gli allievi erano sottoposti) il maestro, a conferma della nuova "dignità" raggiunta dal garzone, oramai abile nell’arte, sottoscrive l’obbligo (non a tutti i garzoni capita) di fare cucire un nuovo vestito di panno con un "ferarolo" (un largo mantello da uomo) ed una spada. Il ragazzo, così rimpannucciato di nuovo, si sarebbe presentato al paese (alla "patria" è detto nel documento) con un segno di distinzione riconoscibile da tutta la comunità, pronto a fare nuove esperienze e a trasformarsi, a sua volta, in un "magistro", con uno stuolo più o meno nutrito di garzoni cui tramandare le proprie esperienze e sapere. Altri documenti come procure, testamenti, contratti, dispense matrimoniali ci rivelano itinerari che raggiungono Vienna, Graz in Stiria, Salisburgo, Innichen.


Magda Noseda

© RIPRODUZIONE RISERVATA