Atlantidi lariane, la città di Barra tra mito e realtà

Intervista a Marina Uboldi, direttrice del Museo del Monte Barro, dove sabato 24 giugno è in programma una passeggiata tra archeologia, poesia e arte per celebrare il bimillenario di Plinio il Vecchio

Anche sul Lario abbiamo delle piccole Atlantidi. E non soltanto sommerse sotto le acque, come quella che nel 2005 fu cercata dalla semiseria “Compagnia della campana perduta” nel Golfo di Venere a Lenno, ma anche sui monti, nascoste sotto la terra. Nel bimillenario della nascita di Plinio il Vecchio merita attenzione - e lo avrà con una passeggiata creativa in programma sabato 24 giugno alle 14.30 nell’ambito del Lake Como Walking Festival ( cliccate qui per info e iscrizioni gratuite) - la mitica Barra, entrata nell’immaginario collettivo con la prima “guida turistica” del lago di Como, la “Descrizione del Lario” (1537) di Paolo Giovio, che le riservò questa citazione: «Sul versante Nord-Ovest del monte Barro si vedono i resti dell’antichissima città di Barra, vicino al paese di Galbiate. La scomparsa di Barra è ricordata da Plinio».

L’autore della “Naturalis Historia”, nel III libro, dopo aver parlato di «Como, Bergamo, Licini Forum e altri popoli attorno», aggiunge che «in questo luogo scomparve Parra, città degli Orumbovii, dai quali, dice Catone, sono derivati i Bergomati, e che ancora oggi si affaccia in una posizione più alta che fortunata». Tra i tanti autori successivi che hanno insistito sull’identificazione tra Parra/Barra e il monte lecchese (nonché su quella di Licini Forum con Incino d’Erba), si segnala Giovan Battista Giovio, che in “Como e il Lario” (1795) associa tra loro tre deduzioni dall’opera pliniana - la deviazione del corso del Lambro, la frammentazione del lago Eupili negli attuali laghetti briantei e la scomparsa di Barra - per sostenere che siano il risultato di un “catastrofico terremoto”. Maurizio Monti, nella “Storia Antica di Como” (1860), confuta le tesi avverse, ovvero chi voleva Barra in Val Brembana e chi invece sul Barro ma fondata dal re longogardo Desiderio, puntando anche sull’etimologia: la radice celtica «Barr [...] “cima di monte”», che accomuna il Barro e Bergamo.

Le campagne di scavi condotte tra il 1986 e il ’97 hanno effettivamente portato alla luce i resti di una cittadina, ma dell’epoca della guerra tra Bizantini e Goti per la riconquista dell’Italia. Ne parliamo con la direttrice del Museo Archeologico del Barro, Marina Uboldi.

Schliemann scoprì le rovine di Troia dando fiducia ai testi omerici. Per voi quanto è stata importante la tradizione scritta su Barra per intraprendere gli scavi?

I dati storici e le notizie presenti nelle fonti antiche, anche i racconti chiaramente leggendari, sono molto importanti: quello che bisogna però valutare è il tipo di testo, l’epoca in cui è stato scritto, l’appartenenza a un genere, letterario o storico, la sua finalità e la sua attendibilità. I testi medievali sono infatti più difficili da utilizzare e più insidiosi di quelli antichi. In questo senso il nostro Plinio può essere più preciso e utile di uno scritto molto più moderno. In proposito ricordo che l’abitato di Parra, centro degli Orobi, è stato identificato senza più dubbi in Parre, località della Val Seriana.

Infatti voi non avete trovato la cittadina preromana, ma neanche quella longobarda. Possiamo considerarlo un caso di serendipità, per cui cercando una cosa se ne trova un’altra e si è capaci di coglierne l’importanza?

Certo, potremmo proprio considerarlo così. Anche se in archeologia trovare una cosa imprevista mentre se ne sta cercando un’altra non è affatto raro, anzi succede spesso. Gli scavatori sono preparati a questa evenienza, ed è anche molto importante non iniziare una ricerca con idee preconcette, o tesi da dimostrare, ma restando aperti a quello che diranno le pietre e i cocci. È l’evidenza archeologica che deve imporsi con la sua oggettività, sulla quale poi lo studioso baserà le proprie interpretazioni e ricostruzioni degli avvenimenti storici.

Che idea vi siete fatti su chi abitò il villaggio fortificato del Barro?

La data di costruzione delle strutture sul Barro non è stata del tutto chiarita, ma le caratteristiche degli edifici, di grande solidità, rispecchiano la tradizione edificatoria romana, che si serve di materiali di qualità, pietre e malta resistente, e tegole prodotte in fornace: tutto questo fa pensare a una costruzione non certo improvvisata, ma rispondente a una pianificazione, quindi gestita dall’autorità che controllava il territorio e si preparava ad affrontare con dispendio di energie delle situazioni di pericolo. Il V e il VI secolo hanno visto cambiare l’Europa, con la fine dell’Impero Romano e grandi movimenti di uomini, l’affermarsi di nuovi regni e l’emergere di nuovi gruppi culturali.

Il ritrovamento più significativo esposto nel vostro museo - la Corona Pensile del Barro - cosa ci suggerisce rispetto all’importanza di “Barra”?

La corona del Barro è qualcosa di unico, almeno fino ad oggi. Il primo esemplare di un oggetto del genere rinvenuto tra le macerie di un edificio non religioso. Le altre corone della stessa epoca giunte fino a noi, infatti, sono tutte in materiali preziosi, oro e gemme, ed erano conservate presso importanti chiese. Siamo in presenza di un oggetto fortemente simbolico, un emblema del potere politico assurto anche a simbolo religioso, come ci indicano le molte rappresentazioni. Il ritrovamento è avvenuto nella zona centrale dell’edificio più importante, la probabile sede del comandante, però il materiale poco prezioso con cui è realizzata la corona del Barro ci fa supporre che non fosse un oggetto così raro, forse questi elementi erano più diffusi di quanto pensiamo e connotavano gli edifici del potere e le residenze dei capi anche in fortezze di confine come quella di Monte Barro.

È corretto collegare i ritrovamenti del Barro alle mille monete d’oro di Como per affermare la rilevanza strategica del territorio lariano all’epoca della caduta dell’Impero d’Occidente?

Il ritrovamento di Como si inserisce effettivamente nella stessa temperie storica che deve avere dato origine all’insediamento fortificato di Monte Barro. Le monete, oggetti molto importanti per gli archeologici, perché è facile datarne l’emissione, sono state coniate in gran parte nella seconda metà del V secolo (dopo il 455) e non oltre la data tradizionale della fine dell’Impero romano d’Occidente (la più tarda infatti è del 472). Siamo in un momento complesso per l’Impero romano, che si protraeva però già da tempo, oggetto di incursioni da parte di popolazioni diverse che ne minacciavano da più parti i confini. Già nel IV secolo Como assume notevole importanza grazie al suo ruolo di nodo stradale e base militare a difesa dei confini alpini e di Milano, nuova capitale dell’Impero. Ma Como non era un singolo baluardo: tutta la fascia dei laghi prealpini doveva essere cosparsa di postazioni fortificate, che costituivano una rete di controllo e a supporto di militari e funzionari. Ne abbiamo testimonianze archeologiche nella fortezza di Santa Maria Rezzonico, nel Triangolo lariano e, appunto, nel Lecchese.

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