Curino: «Inventare il nuovo
come Camillo Olivetti»

L’attrice e autrice questa sera al festival “Il Paese dei raccontatori” a Mariano Comense con il testo dedicato a un pioniere dell’industria italiana

Dopo aver applaudito Marco Baliani, uno dei “padri” del teatro di narrazione italiano, gli spettatori del Festival Il Paese dei raccontatori di Mariano Comense si apprestano ad accogliere colei che può essere considerata la “madre” del genere.

Si parla di Laura Curino, nota e apprezzata autrice e attrice torinese che, stasera, venerdì 5 luglio, alle 21.15, arriverà, per la prima volta, alla Cascina Mordina. (L’ingresso è libero. In caso di pioggia lo spettacolo si terrà nella Sala Brenna di via Trieste. Info: 031757268 e www.comune.mariano-comense.co.it).

L’occasione è importante e Curino la onorerà con uno spettacolo classico del suo repertorio, cavallo di battaglia, da vedere e rivedere. È “Camillo Olivetti. Alle radici di un sogno”, monologo (o meglio “racconto” come ama precisare l’autrice) che ricostruisce con vivacità, scrupolo e passione, la storia di un pioniere, un grande imprenditore, inventore geniale che avrebbe dato inizio ad un’epopea industriale nell’Italia dei primi del ‘900.

Signora Curino, eccola nuovamente in scena alle prese con il primo capitolo della “saga” degli Olivetti…

Questo spettacolo nacque nel ’96 e dal debutto, ho contato almeno seicento repliche, senza soluzione di continuità. Questo perché “Camillo Olivetti” è una storia che non invecchia.

Qual è il segreto della longevità?

Questa vicenda che scelsi di portare in scena con Gabriele Vacis, anche regista dello spettacolo, contiene le radici di quel concetto di imprenditoria responsabile che lascia eredità anche quando l’azienda non c’è più.

Eppure il capitalismo non sembra aver recepito molto la lezione di Camillo e poi di Adriano Olivetti. Che ne pensa?

Non è del tutto vero, per fortuna. Molti, al contrario, sono gli imprenditori che seguono l’esempio dato alla Olivetti, coniugando ricerca e produzione, profitto ma anche attenzione alle persone. Il dato più interessante è che sono proprio queste realtà produttive a reggere meglio sotto i colpi della crisi.

Torniamo allo spettacolo. All’epoca del debutto fu una bella sfida. Lei portava l’economia e l’industria in scena…

Cosa potrebbe esserci di meno teatrale?

In tanti la pensavano così e nessuno voleva produrre “Camillo Olivetti”. Lo proposi nelle scuole, alle feste di paese dove il pubblico si portava le sedie da casa. E intanto lo spettacolo cresceva e maturava. Alla fine, la sfida è stata vinta perché è un genere di teatro che permette di dialogare con il mondo reale e di rivolgersi a chiunque abbia provato a fare qualcosa da solo.

Perché si innamorò della storia di Olivetti?

Io e Vacis, cresciuti a “pane e Fiat” (Curino è nata a Torino e suo padre era operaio alla Fiat, ndr) sentivamo la vocazione al racconto dell’epopea del lavoro. E poi, era importante comprendere cosa fosse accaduto ad Ivrea, divenuta un modello mondiale, grazie ad un’idea industriale diversa e non ineluttabilmente legata all’alienazione, allo sfruttamento e all’impatto ambientale.

E oggi, in piena era post industriale, cosa può dire questo racconto ai Millenials?

Il messaggio è senza tempo proprio perché racconta il meccanismo della creatività e di come creare “un altro modo”. Anzi, la storia di Camillo Olivetti comincia in una Ivrea agricola, apparentemente per nulla vocata all’industria. Comincia da un’idea che con fatica e coraggio, verrà realizzata. Non trovo augurio migliore per giovani che devono costruire il nuovo, partendo da un ciclo, quello novecentesco, ormai concluso.

Quindi Camillo Olivetti come Steve Jobs?

Di più. Io non racconto la “poetica del garage”, ovvero una storia di giovani nerds che da soli, nel garage di casa, creano invenzioni geniali. Camillo Olivetti fece di più, attuando, con consapevolezza, un progetto che avrebbe coinvolto positivamente tutto il suo territorio.

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