Dieci anni senza il signor G
Il teatro-canzone rivive a Como

Venerdì Andrea Scanzi porta al Sociale “Gaber se fosse Gaber”

Canzoni, parole e tanti filmati inediti per l’omaggio a un genio

Dieci anni senza Giorgio Gaber, dieci anni da quando il “Signor G” ci ha salutati senza fare troppo rumore, com’era in sintonia con il personaggio e con l’attore (e, fatalmente, l’amico e collega degli esordi “corsari”, Enzo Jannacci, ha preso congedo proprio ora).

Nel corso di questi due lustri si sono moltiplicate fino a perderne il conto le iniziative per ricordare e promuovere le opere e il pensiero di questo uomo di spettacolo e di intelletto unico nel suo genere, tanto da avere dato vita a un genere a sé, il teatro – canzone.

Nell’anno delle “Ricorrenze” anche il Teatro Sociale ha voluto di celebrarlo, e ha scelto “Gaber se fosse Gaber”, scritto e interpretato dal giornalista Andrea Scanzi, in scena venerdì sera alle 20.30 (biglietti a 20 euro).

Firma de “La Stampa” prima e de “Il Fatto Quotidiano” oggi, volto televisivo, Scanzi è partito dalla musica scrivendo sul Mucchio Selvaggio ed è autore, tra l’altro, di apprezzati volumi su autori come Ivano Fossati oltre che sullo stesso Gaber, ma anche su figure leggendarie come Gilles Villeneuve e controverse come Beppe Grillo. Ma Gaber, senza nulla togliere, era un’altra cosa. Nello spettacolo, anticipano le note di regia, «il pubblico assiste allo scorrere di immagini e filmati - spesso inediti - ai quali si alterna l’analisi affabulatoria di Scanzi, fino a diventarne protagonista, con Gaber, emozionando chi lo ha amato, ma soprattutto coinvolgendo quel pubblico giovane che non lo ha potuto conoscere».

Perché manca il “signor G”, manca uno spettacolo nuovo, quell’appuntamento (quasi) annuale in cui ti inchiodava alla sedia mettendoti a confronto con i tuoi dubbi, le tue esitazioni, soprattutto le tue contraddizioni che erano le stesse di una società che fotografava con impareggiabile ironia, con estrema, talvolta anche dolorosa, lucidità come emerge dalle sue ultime canzoni, realizzate quando la salute non gli permetteva più di calcare il palcoscenico, “La mia generazione ha perso” e “Io non mi sento italiano”. “Perché poi è bello... quando parla Gaber”, cantava Jannacci, con cui condivise esordi, serate e, anni dopo, anche un bellissimo adattamento di “Aspettando Godot”.

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