Eventi d'arte made in Como/4
"Un dovere contenere i costi"

La curatrice del Museo del Tessuto Ratti spiega la formula della Fondazione: "Puntiamo sempre alla qualità. Da noi contano le idee e il controllo della spesa"

Venerdì si inaugura a Como la mostra su Guido Ravasi, imprenditore, stilista, intellettuale. Un nome pressoché ignoto al grande pubblico, e tuttavia di grande rilievo per la storia culturale del Novecento italiano. È l’esempio virtuoso di come, da un’idea - oltretutto non particolarmente "popolare" - si possa allestire una mostra di risonanza nazionale. Nel dibattito de "La Provincia" sul senso delle "grandi mostre" in riva al Lario, dopo i critici Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, Luciano Caramel, Rachele Ferrario, Flavio Caroli e l’artista Giuliano Collina, entra la Fondazione Ratti, con la curatrice del Museo Studio del Tessuto, Francina Chiara.

Dottoressa Chiara, la tendenza dei musei, oggi, è sempre più quella di far "vivere" le collezioni. È così anche alla Fondazione Ratti?

La Fondazione Ratti ha cominciato presto a far vivere le collezioni del Museo Studio del Tessuto e questo presuppone un rapporto di scambio con l’utenza perché la vita è dialogo. Nello specifico il Museo ha adottato diverse strategie in merito: la divulgazione attraverso un catalogo multimediale, una struttura di corsi che coniuga interventi teorici e laboratori in cui si guardano - nel rispetto dell’altra funzione importante dei musei che è quella conservativa - i pezzi in collezione da vicino e si discute alla luce della griglia teorica. In queste occasioni, ci tengo a precisarlo, sempre sono emerse novità rispetto al pezzo che si aveva di fronte; segno che questa organizzazione permette d’incrementare anche le conoscenze sulla collezione. Così conservazione studio e valorizzazione entrano in un circuito virtuoso che si autoalimenta.

Nel fare una mostra, si cerca ancora di "fare evento"?

La prassi della mostra-evento sta per essere superata. L’offerta culturale viene comunicata tutta come evento, con un effetto di omologazione che, rendendo difficile la scelta, sfianca l’utenza e così l’obiettivo dei grandi numeri e la chimera (parlare di cultura in rapporto a un grande ritorno economico è fuori dalla realtà) dei grandi guadagni non si realizzano. Esisteranno sempre le persone che andranno all’evento semplicemente per essere presenti, ma in generale credo si stia andando in un’altra direzione. Città e istituzioni che hanno percorso questa strada stanno avendo ripensamenti.

Che senso ha l’ "evento" in arte? Quantitativo (grandi numeri, grandi costi) o qualitativo (buone idee più che grandi nomi)?


La Fondazione Ratti si è mossa sempre con coerenza sul piano della qualità sia per il Corso superiore di arti visive che per il Museo Studio del Tessuto. Talvolta la qualità coincideva con nomi popolari talaltra no, dunque più idee che nomi o meglio i nomi scelti avevano delle idee da comunicare. Si lavora per creare circolazione di pensiero, "socialità" e credo si sia in parte riusciti, sia per il corso che per il Museo, raggiungendo pubblici differenziati. Sul piano dei costi facciamo attenzione, tanto più in questo periodo nel quale non è etico spendere in maniera eccessiva per produrre l’evento.

Vera Fisogni

© RIPRODUZIONE RISERVATA