Faust inquieto e moderno
"Ecco come lo vedrete in scena"

Il regista Gianlorenzo Brambilla analizza, per i lettori de "La Provincia", il capolavoro di Goethe che verrà rappresentato al teatro Licinium di Erba dal 5 luglio al 2 agosto

Il "Faust" di Goethe è un’opera complessa e per tanti aspetti controversa. Opera teatrale, ma più che teatrale, opera lirica nel senso più poetico della parola. Ricca di visionarietà, simboli alchemici, concetti filosofici e teologici, immagini mitologiche: un universo dove chiunque si può smarrire, così come a volte ci si smarrisce, affrontano i grandi poemi dell’umanità qual’è la "Divina Commedia" di Dante, alla quale il "Faust" viene raffrontato per vastità di pensiero e di contenuti. Dio, Faust, Mefistofele. Ovvero l’Entità Creatrice, l’Uomo, la Materia. Un grande poema dove, in questo spasmodico inseguimento della conoscenza assoluta, affrontato un cammino di ricerca che non ammette alcuna preclusione, l’uomo si dibatte tra la elevazione dello spirito e l’esperienza della materia, nella ricerca della chiave che riveli la quintessenza dell’ «Harmonia Mundi». In "Faust", come in ciascuno di noi, convivono questi due mondi appartenenti ad un unico Universo. Spirito e Materia in Faust si scorporano dando vita a Mefistofele, un "alter ego" di sé stesso che lo condurrà in un percorso di conoscenza nel mondo materiale, per sperimentare tutto ciò che nella sua vita di studioso ha trascurato privilegiando una conoscenza intellettuale delle cose attraverso una indagine smisurata, ma, alla fine, fallimentare. E per fare ciò, gli verrà restituita una giovinezza ormai persa da tanto tempo e lontana negli anni.
Con il famoso patto di sangue, Mefistofele, il suo demone, si metterà al suo servizio fino a quando Faust avrà finalmente trovato le sue risposte. Dopo, per l’eternità, la sua anima sarà al servizio di Mefistofele. Ma le Sfere Celesti lo sottrarranno a questo destino perché nella sua instancabile volontà di ricerca della verità, troverà il riconoscimento del suo agire, pur se in errore, ma sempre mosso da un’istanza di elevazione spirituale. La grande congiura nichilista di Mefistofele fallisce senza rimedio. Il "goffo mondo" di Dio continua a riprodursi davanti ai suoi occhi. Pochissimi tra gli esseri umani si lasciano tentare dalle insidie della sterminata negazione. Una tragedia (così definita da Goethe) che si chiude in realtà con un trionfo dello spirito. Un finale lontano da quello della vecchia e moralistica leggenda che lo condannava alla dannazione eterna. Un grande viaggio nelle pieghe anche più torbide dell’animo umano che per certi aspetti evoca in sé l’ anima di ogni grande personaggio della letteratura di tutti i tempi (da Odisseo a Don Chisciotte; da Prometeo a Amleto).
Come un «fuggiasco», come «un uomo senza casa», come «un mostro senza meta né pace», come «una cascata che, di roccia in roccia, avidamente furiosa, scroscia verso l’abisso, egli attraversa il mondo». (Piero Citati). Il capolavoro di Goethe è capolavoro assoluto ed universale, dove il fiume di parole a volte si ribella alle convenzioni del "teatro" e deve diventare immagini arcane, suoni, luci e non sempre di immediata comprensione, ma che appartengono ad una sapienza "ancestrale" che vive in modo più o meno consapevole in ciascun uomo. In questa direzione mi è sembrato necessario l’utilizzo di strumenti multimediali che, al di là di una semplice speculazione volta a favorire la spettacolarità di una messa in scena, trova il suo significante nel moltiplicarsi di elementi di visionarietà che aiutano lo spettatore ad entrare con maggior semplicità nei codici che Goethe introduce nel complesso e articolato mondo poetico del "Faust". Come sempre, negli spettacoli che ho diretto al Teatro Licinium di Erba (Como), il mio desiderio di essere rispettoso dell’autore prevale sull’inserimento di eccessive libertà e divagazioni "apocrife". Certo è che la vastità dell’opera di Goethe, e solo apparentemente scritta per il teatro, mi ha costretto a una radicale sintesi, per poter contenere i tempi della rappresentazione in termini accettabili. Uno sforzo che ha richiesto un faticoso e sofferto lavoro di rilettura teso alla stesura di un progetto teatrale di più snella ampiezza, dove le rinunce, seppur dolorose, erano necessarie. In questa ricerca non priva di rischi (ma non è già un rischio il solo pensiero di portare in scena un’opera come questa?), una delle mie principali preoccupazioni è stata quella di salvaguardare un percorso narrativo che si snoda tra salti di tempo e di spazio, e dove ho voluto preservare elementi di respiro poetico, accanto a scene più votate ad una prosa meno ricca di metafore e quindi più immediata.
Ma questa commistione di linguaggi e di stili appartiene alla natura stessa del Faust, che ha necessitato di 60 anni di lavoro da parte di Goethe, per arrivare alla sua stesura definitiva solo pochi giorni prima della sua morte. Forse con l’umiltà di cui siamo così poco capaci, riusciremo ad intuire, seppur parzialmente, la grandezza e l’universalità del pensiero di Goethe sull’uomo; la sua passione per questa particella fragile e caparbia, parte organica di un infinito Cosmo; l’insegnamento e l’eterna attualità di un percorso dove ciascuno di noi, nella gioia e nel pianto, è chiamato a intraprendere, apportando il proprio contributo, lasciando un segno, anche piccolo, del proprio passaggio, nel grande viaggio a cui ci chiama la vita.

Gianlorenzo Brambilla

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