Freddie del Curatolo e «Il dissidente
senza odio: Rino Gaetano»

Intervista con il giornalista e scrittore comasco mentre Arcana ripropone la biografia che ha dedicato al cantautore scomparso

Cinquant’anni fa un ragazzo arrivato da Crotone nella capitale si affacciò, per la prima volta, alla porticina che conduceva al Folkstudio, il leggendario locale trasteverino che fu la culla della canzone d’autore romana degli anni Settanta. Tra De Gregori e Venditti, Rosso e Lo Cascio, c’era anche lui, Salvatore Gaetano detto Rino, oggi riconosciuto come uno grandissimo talento, all’epoca, se non osteggiato, sicuramente poco capito. Ecco, “Se mai qualcuno capirà Rino Gaetano” è il titolo che il giornalista e scrittore Freddie del Curatolo scelse per il suo appassionato saggio biografico. Ne parliamo in occasione della nuova edizione, edita da Arcana.

Perché tornare su Rino Gaetano proprio in questo momento?

Durante un’intervista, ormai quarant’anni fa, disse “Sento che le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni”. Oggi è così: pur essendo sempre stato definito alternativo, irriverente, “di culto” per non dire “di nicchia”, nel 2019 non solo è ancora attuale, ma ci permette di leggere la (triste) realtà italiana senza perdere il sorriso. Si pensi ad esempio a “Capofortuna”, brano del 1979 in cui faceva il verso ai politici costantemente in tournée. Anche per questo motivo ho accettato con entusiasmo la proposta di Arcana di aggiornare un saggio biografico scritto quindici anni fa, che per l’eterno artista crotonese non sono nulla, ma per noi rappresentano un bel pezzo di storia contemporanea.

Dopo la morte la sua figura è stata dimenticata velocemente, ma poi c’è stata una riscoperta fino a raggiungere il livello di mito, anche per i giovani. Cosa è successo?

Il fatto di aver scelto di non “politicizzare” la sua carriera, di non allinearsi ai cantautori militanti, ha evitato a Rino celebrazioni di maniera, ma, allo stesso tempo, l’ha relegato nella nicchia degli incompiuti, ricordandolo per anni solo con la canzone che lui amava meno, quella “Gianna” che gli aveva dato il successo, ma ne aveva snaturato la purezza, la spontaneità, portandolo a una crisi d’identità artistica da cui non è più uscito. Quando, però, si sono avverati molti dei suoi vaticini e sono caduti i muri tra destra e sinistra, la leggerezza intelligente di Rino e i suoi motivi orecchiabili, che scavano in profondità nei paradossi del nostro Paese, sono tornati alla ribalta, conquistando ogni nuova generazione che ne vive l’immagine di eterno giovane dissacrante, acuto, ma giocoso, come un fratello maggiore in musica.

Una figura ben diversa da quella ritratta dalla fiction...

La prima pubblicazione di “Se mai qualcuno capirà” risale al 2004, allora la riscoperta di Rino non era ancora stata sfruttata a pieno dalle case discografiche, dall’editoria e, come poi è successo, dalla televisione. Il mio volume era, di fatto, la prima biografia approfondita. Quando si è capito che poteva diventare l’icona di un certo “disimpegno impegnato”, si sono moltiplicate le antologie, inediti e provini sono magicamente usciti dai cassetti. Per non parlare della fiction televisiva: lo ha trasformato in un “maledetto de borgata”, svuotandone l’anima graffiante da indagatore di vizi e storture del nostro popolo, riempiendolo di luoghi comuni, crucci d’amore e di bottiglia.

Cosa c’è di Rino in quest’ultima generazione di cantautori, ma anche nei rapper e trapper che, per certi versi, sono figli anche inconsapevoli di “Nuntereggae più”?

Un nuovo capitolo di questo libro è dedicato proprio ai tanti presunti o sedicenti “eredi”. Dopo la sua riscoperta ogni cantautore che abbina temi sociali a melodie orecchiabili o accenna una satira di costume su basi moderne non banali, viene bollato come “nuovo Rino Gaetano”. È capitato a Silvestri, Cristicchi, Britti, Tricarico, Brunori, addirittura a J-Ax. Tutti, peraltro, si sono dichiarati suoi fan. I trapper, quando non sono già troppo costruiti, spesso arrivano dalla strada, dalle periferie multietniche di oggi e in questo somigliano a Gaetano e al suo background. Oggi è più facile intravvedere tra di loro l’acume e lo stiletto di quello che chiamo “fratello figlio unico” della canzone italiana, anche se alle nuove generazioni di autori manca un po’ di allegria. Anche quando c’è sembra sempre forzata, più liberatoria che provocatoria.

E si può esportarlo anche a Malindi?

In Kenya, dove vivo, propongo spettacoli di teatro – canzone che raccontano la storia degli italiani in Africa insieme a Marco “Sbringo” Bigi, componente storico della band di Paolo Rossi, C’è Quel Che C’è. In questo spettacolo, brani come “Aida” e “Metà Africa metà Europa” non possono mancare, insieme a quelli dei miei due album “Nel regno degli animali” ed “Esilio Volontario”. D’altronde chi meglio di Rino può spiegare che l’amore per il nostro Paese non deve essere per forza sfrenato patriottismo, che non c’è bisogno di odiare per dissentire o denunciare malcostumi e che con un sorriso si può e si deve sempre poter dire tutto, senza che le proprie parole e soprattutto una canzone, debbano essere passate ai raggi X del populismo e della politica.

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