I “diari” di Zavattini sguardo visionario
alla storia d’Italia

Intervista Valentina Fortichiari : raccolte in volume le carte private. La nipote che ne cura l ’edizione: «Grande uomo, è stato l’occhio di De Sica»

Un vecchio e una bambina, fra loro parole, immagini e Luzzara. Valentina Fortichiari dalla sua amicizia con Cesare Zavattini cambia la vita, eppure è solo una bambina. Oggi è curatrice delle opere dello scrittore, sceneggiatore, fra cui i “Diari” e gli “Scritti di lotta contro la guerra” uscito lo scorso anno (La nave di Teseo). La scrittrice racconta «Za faceva parte della famiglia di mio padre. All’età di 9 anni fui mandata a trascorrere la mia estate “selvaggia” a Luzzara, in Emilia, l’esuberante carattere emiliano, cordiale, aperto non si spiega in Za senza queste sue origini. Spesso mi portava con sé al suo fiume, il Po, era terrorizzato che potessi annegare trascinata dalle correnti, non sapeva nuotare ma era un poeta che cammina sull’acqua. Molti anni dopo, a Roma, m’immersi, ordinandolo, nel suo archivio e insieme componemmo “Diario cinematografico” (1976)».

Perché riscoprirlo oggi?

Mio zio è stato un grande artista del Novecento, un genio della parola, dell’immagine: non c’è campo della cultura, delle arti, dove non abbia lasciato un segno: dal giornalismo all’editoria alla letteratura, ai fumetti, dal cinema alla fotografia, dalla pittura alle innumerevoli iniziative culturali. Ha sempre agito con spirito libero, sperimentatore, innovatore, curioso, esuberante, rivoluzionario. Memorabile il suo esordio nel 1931 con “Parliamo tanto di me” (Bompiani), salutato da Croce, Pirandello, Calvino. E poi i film del periodo neorealista, in coppia con De Sica: “Miracolo a Milano” (1951), “Ladri di biciclette”, “Umberto D”, che gli valsero il Premio mondiale della Pace (1955).

Si è sempre battuto per la pace.

Coerente con se stesso, con appelli agli intellettuali, ai politici, e sempre in favore dei bambini, perché era convinto della necessità di un sapere che si radicasse nell’ educazione scolastica, fin dai primordi, un sapere, una conoscenza che formano una coscienza civile sensibile a valori democratici. All’età di 80 anni per primo introdusse nelle elementari, nelle medie, nei licei, che visitava lui stesso, “l’ora della pace nelle scuole” Un autentico pioniere.

Chi vorrebbe lo leggesse oggi?

Tanti, soprattutto i giovani, grazie anche a quel suo spirito apparentemente ingenuo, ma di sensibilità profonda, di capacità di stupore quasi infantile, d’innocenza, di fiducia nella «meravigliosa uguaglianza degli esseri umani». La sua opera è ancora di grande attualità e sa parlare a tutti.

Perché pubblicare anche i “Diari”?

Sono una meravigliosa raccolta di pensieri privati e pubblici, una miniera d’idee, progetti, confessioni intime, di testi inediti nati dapprima sui quaderni e poi sviluppati in opere come il celebre poemetto “Ligabue”, oppure la storia di Totò il buono. Ci sono sceneggiature, soggetti suggeriti e realizzati, lettere, storia privata, commenti di carattere politico sociale. L’attenzione di Za era vigile, attenta su ogni dettaglio della contemporaneità: sfilano in questi diari 50 anni di storia italiana (1941-1987), ma la sensazione che si prova leggendoli è quella di vivere nel presente, nel “nostro” presente, tanto è forte il sigillo di umanità che accompagna ogni suo sguardo, ogni analisi acuta e spesso critica della realtà.

Come fu il rapporto fra Zavattini e De Sica?

Diciamo subito che l’accoppiata ha creato i migliori film d’epoca neorealista: Za, che non mise mai il suo occhio nell’obiettivo della cinepresa (lo farà solo a 80 anni nel film “La Veritàaaa” dove fu soggettista, sceneggiatore, regista e attore di se stesso) era l’occhio di De Sica, sapeva vedere; il regista aveva la straordinaria abilità di prendere attori dalla strada e farli recitare in modo perfetto. Negli ultimi anni della sua vita Za lamentò che quei film non fossero stati capiti e apprezzati abbastanza in Italia ma maggiormente in Francia o altrove.

Come lo ricorda?

Per l’umanità, il calore umano con il quale avvolgeva le persone che gli stavano accanto. Ricordo la sua acribia sul lavoro, la cura della parola precisa, efficace, l’ossessione delle ripetizioni. La timidezza, il suo garbo, la curiosità, la capacità di nutrire sogni sino all’ultimo respiro. Mio zio mi ha insegnato a tenere un diario: l’ho cominciato all’età di 13 anni e non l’ho ancora dismesso.

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