Il j'accuse del regista Lipari:
"L'Italia ha dimenticato Fellini"

A 15 anni dalla morte, il regista di "Amarcord" è caduto nell'oblìo. Il cineasta comasco, che gli ha dedicato un film, spiega perché

Domani ricorre il 15° anniversario della morte di Federico Fellini, regista di «Amarcord» e «Otto e mezzo», vincitore di cinque Oscar. La tv (Rai, Mediaset, Sky), ad oggi, non ha annunciato di voler dedicare all’artista nemmeno una replica.

di Paolo Lipari

«Chi di voi ha visto almeno un film di Fellini?». Che si tratti di una classe di un istituto superiore piuttosto che di un’aula universitaria, in più di un’occasione ho sperato di essere smentito. Oramai, quando mi capita di parlare a una platea di studenti anche sinceramente interessati al cinema, parto quasi rassegnato: so che alla mia domanda, non risponderà una sola mano alzata. Anzi, qualcosa di meno. Chi dice di conoscerlo, in genere lo confonde con De Sica. Fellini, scomparso il 31 ottobre 1993, è oggi, in Italia, soltanto un nome o al massimo un aggettivo: "felliniano", questo sì, forse in parte sopravvive. Senza più una sola immagine a corredo.

Mistero italiano

Una lacuna enorme, di per sé inspiegabile. Come se a Stoccolma si balbettasse riguardo a Bergman o a Berlino ignorassero Murnau. Colpa dei ragazzi di oggi? Per nulla affatto. Tirare in ballo la storia dell’insensibilità dei giovani verso il bello o il raffinato è sempre un’emerita idiozia. Figurarsi in questo caso. Il ragazzo cinéphile che oggi dichiara di amare un cinema tanto complesso come quello di Lynch non potrebbe che innamorarsi di film come "La dolce vita" o "Giulietta degli spiriti". Il fatto, semplicemente, è che Federico Fellini gli è stato sottratto. Da chi? E perché? Com’è potuto accadere che il più vitale dei nostri registi sia oggi, a soli quindici anni dalla scomparsa, il più morto? Come spiegare che un motivo di orgoglio nazionale (cinque premi Oscar) sia oggi, tra i giovani, meno conosciuto di qualunque vj? Una bella responsabilità l’ha sicuramente la televisione.
L’odio di Fellini per la tv commerciale gli è stato a lungo ripagato. In una programmazione chiusa nelle gabbie delle pause pubblicitarie, creature così incontenibili come quelle felliniane non possono che essere bandite, sono tutte destinate all’ostracismo. Più strano, anzi, assurdo è invece l’oscuramento che Fellini continua a subire nel contesto di per sé destinato all’ascolto dei Maestri: la scuola.
Per cercare di capire la questione, proverei a farvi giusto tre passi. Tre passi nel delirio, per l’appunto (tanto per omaggiare il film del ’68 con l’episodio "Toby Dammit" di Fellini).

Il "no" delle scuole

Primo passo. Truffaut, Hitchcock, Kubrick, lo stesso Rossellini… Per loro ed altri autori la faccenda è già diversa. Sono tutti in un Olimpo scolasticamente visitato, sono inclusi negli itinerari tracciati da docenti accorti e genitori volonterosi. Può succedere, insomma, che a diciott’anni un liceale sia già inciampato ne "I quattrocento colpi" o in "Roma città aperta".
In Fellini quasi sicuramente no. Perché? La risposta me la suggerì un giorno un preside della nostra città. Mi disse: «Ma scusa, a un film come "Otto e mezzo" che cosa gli attacco là?». Secondo passo. Ecco, "attaccare là"… Per il mondo della formazione culturale, nulla è più insostituibile dell’"attaccare là". Che cosa significa questa espressione? Nel gergo dell’aula insegnanti, "attaccare là" vuol dire: riconoscere un senso a un contenuto didattico in base alla sua capacità di agganciarsi ad altro. Faccio un esempio: si fa vedere ai ragazzi "Paisà" perché il film potrà servire all’insegnante di Storia per un bel discorso sull’avanzata degli Alleati in Italia. Oppure: si fa vedere "La terra trema" così da lì ci si potrà lanciare su Verga e il Meridione tutto. "Attaccare là", per intenderci, vuol dire tentare di legittimare (di fronte a non si sa quale autorità sovrana) quella che è spesso ancora considerata la più imbarazzante perdita di tempo: vedere un film. La scuola italiana, e non solo, la pensa così.

Genio fuori tema

Terzo passo. E a un Fellini che cosa si può attaccare? Mah. Grave imbarazzo. Il docente si sente smarrito. Quando Federico Fellini sfiora i "grandi temi" (la storia nazionale, le problematiche sociali, la stessa letteratura) sembra un bambino che non ha nessuna voglia di consegnare il compito in classe. Gioca, pasticcia, scarabocchia, fa di tutto per scontentare le attese di chi è seduto in cattedra. Lascia intuire che potrebbe gratificare l’intero corpo insegnante con un lavoro da dieci e lode e invece no. Esce subito fuori tema, rinuncia ad ogni approfondimento o dotto rimando… Lo vedi nel banco impegnato soltanto a divertirsi, a dire, spudoratamente, tutto quello che gli passa per la testa. Indisciplinatissimo! Un elemento che ogni scuola patria si guarderebbe bene dall’accogliere tra le sue gloriose mura. E infatti… Ecco, alla fine dei nostri tre passi, abbiamo forse acquisito un plausibile, delirante verdetto: a scuola non si mostra Fellini perché i suoi film non "trattano", perché non aiutano a fare collegamenti … Perché il suo cinema è "solo" cinema. Si dirà che oggi la scuola ha da affrontare ben altri problemi. E i tempi per risolverli non sono di certo brevi. Mi limiterò allora ad una segnalazione: il Toby Dammit di "Tre passi nel delirio" dura solo 38 minuti.

--------

"Caro Federico", la docu-fiction
racconta Fellini senza retorica

Una docu-fiction per ricordare Fellini, per celebrarlo senza agiografia, per raccontarlo a chi ne ha sempre e solo sentito parlare, i giovani soprattutto, senza avere la possibilità di approfondire la materia. Ma è anche, in parte, un giallo con un mistero da risolvere, un oggetto (naturalmente cinematografico) da ritrovare. È «Il sogno di Federico» del regista comasco Paolo Lipari, già presentato in Svizzera, prossimamente oggetto di una prima proiezione italiana a Milano con l’autore che auspica, in futuro, di portarlo nelle scuole, proprio per avvicinare i giovani al più grande cineasta italiano. In parte documentario, con le interviste di ragazzi del Cisa di Lugano ai collaboratori e agli attori di Fellini (spiccano Sergio Rubini e Alvaro Vitali), in parte un quasi thriller con tre ragazzi alla ricerca dell’ultimo capolavoro perduto, non il leggendario «Mastorna» ma qualcosa di altrettanto evanescente: le immagini che un avveniristico macchinario avrebbe prelevato direttamente dal maestro in coma, il suo ultimo sogno, il più lungo, quello che, altrimenti, non avrebbe mai trovato spazio sul grande schermo. Al plot di questo film ha collaborato anche il direttore de «La Provincia» Giorgio Gandola: «Ci conosciamo da tanti anni - aveva raccontato Lipari - e ha avuto un ruolo importantissimo per la definizione del soggetto del film che nasce proprio da una serie di conversazioni dove abbiamo elaborato la trama». La versione italiana, inoltre, sarà differente da quella mostrata in Canton Ticino e legata alle esigenze dei palinsesti televisivi. Un vero e proprio "director’s cut".

Alessio Brunialti

© RIPRODUZIONE RISERVATA