Il racconto d'agosto de La Provincia:
<Il gioco della finanza>/7

Muto il telefono, il cronista disegnava sul taccuino solo palloni a campi di calcio
Il Caporedattore Anziano preoccupato. <Era un segugio, ora non scrive da mesi>

Il telegrafo, esaurito il nastro di carta, ticchettava a vuoto. Il telefono, muto da giorni, sembrava un monumento a se stesso, un blocco inerte di bachelite incapace di ricevere o trasmettere alcunché.
Alla scrivania, Liberto Daverio-Moneta tracciava con la matita disegni su un taccuino: campi di calcio, palloni di calcio, giocatori di calcio. Quando dalla finestra sembrò calare il sipario del giorno, controllò l’orologio.
Poteva andarsene.
Uscì dalla redazione de La Nostra Voce e scomparve senza lasciare né articoli né rimpianti.
Solo il Caporedattore Anziano alzò la testa dal suo lavoro e si avvicinò al Proto.
«Anche oggi, niente».
Il Proto scosse la testa in segno di preoccupata solidarietà.
«Non so più che cosa pensare», disse il Caporedattore Anziano. «Temo di averlo perduto».
Il Proto sospirò: gli sembrava la cosa giusta da fare.
«Era un grande giornalista», continuò il Caporedattore Anziano. «Un lupo solitario, un solista virtuoso, un segugio incomparabile. E ora... nulla. Non un articolo in due mesi, non un trafiletto. Niente di niente. Fosse un altro lo avrei licenziato da tempo...»
Il Proto mostrò un’espressione allarmata.
«...e se continuerà così, presto dovrò farlo».
Il Proto giunse le mani in preghiera.
«Capisco, mio caro, capisco. Ma questo è un giornale, non un’opera di beneficenza o un riformatorio. Basta ritardi, basta fannullaggine, basta intemperanze: la prossima che mi combina, è fuori».

* * *

La minaccia di licenziamento aleggiava sulla sua testa, ma egli era l’unico a non avvedersene. Certo, sapeva di non aver scritto una riga in due mesi, ma non gliene importava nulla. La sua mente era occupata da ben altre contingenze: domenica la Sanclemenzianese avrebbe giocato in casa la partita decisiva della stagione.
Liberto tremava al solo pensiero. Una vittoria e sarebbe stato il trionfo. Una sconfitta, o anche solo un pareggio, e il castello dei sogni sarebbe miseramente crollato: sentiva che presto sarebbe passato il treno della Storia e lui, il Tifoso Numero 1 della Sanclemenzianese, doveva esserci.
In ballo non c’era solo la promozione alla categoria superiore: per una dispettosa coincidenza del calendario, la squadra del suo cuore era chiamata, nell’incontro più importante dell’anno, a battersi contro l’Imperial Branzoni.
Solo il profano - il miscredente che salta a piè pari le cronache sportive, utilizzando la carta su cui sono stampate per i bisogni del canarino Trilli -  avrebbe dismesso l’Imperial Branzoni come una squadra qualunque.
Liberto sapeva che non era così: l’Imperial Branzoni era invece il Nemico Assoluto.
Anni e anni di accesa rivalità dividevano squadre e tifoserie come non si era visto dai tempi di Mario e Silla, Guelfi e Ghibellini, uova à la coque e strapazzate. I giallocerchiati dell’Imperial Branzoni erano il fumo negli occhi dei sanclemenzianesi, il tormento dei tifosi rosso e neri, l’incubo degli sportivi usi riunirsi all’Osteria Tre Cetrioli.
Proprio in quel covo di supporters pronti a tutto Liberto era atteso la sera in cui il Caporedattore Anziano, vistolo lasciare la redazione dopo un’altra giornata buttata via, pronunciava la sua minaccia di licenziamento.
Noleggiata un’auto pubblica, Liberto si era fatto condurre a Sanclemenziano e, dopo aver insolentito l’autista che si era rifiutato di superare gli imposti limiti di velocità, era sbarcato ai Tre Cetrioli carico come una dinamo.
Spalancata la porta del locale, fu salutato da un boato e da applausi frenetici: trattamento che di solito i frequentatori dell’osteria riservavano soltanto alle consegne settimanali di grappa.
L’oste Ferdinando gli si avvicinò con la mano tesa.
«Benarrivato, Capo. Ti aspettavamo».
Liberto si lasciò scortare al tavolo principale e la riunione ebbe inizio.
«Fratelli», disse rivolgendosi alla platea dei tifosi. «È inutile che dica quello che già sapete: l’ora è solenne e noi, fedelissimi della Sanclemenzianese, non mancheremo al nostro dovere».
Nell’osteria si intrecciarono grida di «Giusto! Bravo! Siamo tutti con te! Un’altra birretta qui, per favore!»
«Ora ragguagliatemi», continuò Liberto. «Quanti ne verranno di quegli insetti?»
«Tre corriere», rispose Ferdinando con voce grave.
«Me l’aspettavo», disse Liberto. «Canaglie. Faranno di tutto per rovinarci la festa. E noi, come risponderemo?»
A questa domanda la platea non era preparata e il silenzio calò Ai Tre Cetrioli.
«Ve lo dico io», riprese Liberto con gli occhi fiammeggianti. «Risponderemo con la guerra!»
«Sì!», urlò la folla. «Sì, la guerra! Giusto! Bravo, Capo! Siamo tutti con te, Capo! Ma che fine ha fatto quella birra?»
Con un gesto Liberto zittì i tifosi.
«E ora, l’inventario».
«Sono pronto», rispose Ferdinando.
«Bandiere?»
«Trentadue».
«Striscioni?»
«Sette».
«Tamburi?»
«Dodici».
«Trombette?»
«Cinquecentosedici».
«Petardi?»
«Tre casse di botti super, quattro di regolari e sei unità Extra modello Fine-del-Mondo».
«Eccellente, davvero eccellente», commentò Liberto. «Ma l’arma che ci farà vincere la guerra sapete qual è?»
Come a un segnale convenuto, i tifosi della Sanclemenzianese si unirono in un abbraccio e dalle loro gole salì alto l’inno supremo: "Sanclemenzianese, darò tutto per te. Prima che sia venuta l’ora di cena".
Erano pronti per la battaglia.

Mario Schiani

(7 - continua)

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