Il secchiello del latte
Un inedito di Piero Chiara

La Provincia pubblica un inedito del grande scrittore di Luino, per gentile concessione del curatore del Fondo Chiara, professor Federico Roncoroni. Il breve scritto sarà il libreria dall'8 settembre


di Piero Chiara

Intorno al 1919 o 1920, un veneto, padovano o trevigiano, che era stato dei primi a stabilirsi al nostro paese si improvvisò lattaio. Raccoglieva il latte, andando da un contadino all’altro con un carretto carico di bidoni, poi lo rivendeva in una stanza nuda e fredda, vicino alla chiesa, pescando dai bidoni con dei misurini da mezzo libro muniti d’un lungo manico. Donne, bambini e qualche uomo gli porgevano, uno dopo l’altro, i loro secchielli di ferro smaltato o d’alluminio. Quando gli presentavano una bottiglia, il lattaio afferrava un imbuto, lo infilava nella bottiglia e vi faceva scendere il fiotto denso e bianco del latte. Con un secchiello d’alluminio munito di coperchio, mia madre mi mandava ogni sera a prendere il litro di latte che serviva per casa nostra, dandomi nella mano sinistra, da tenere ben strette, due monete di nichel da venti centesimi. Salivo la vecchia strada che serpeggia dal porto alla chiesa, passavo davanti al droghiere, all’orologiaio, al farmacista, all’ortolano, al negoziante di vino, al cartolaio, al sarto, al calzolaio e a tutto il commercio del borgo che era concentrato in quella via, perché dentro i cortili stavano i pescatori, i falegnami e gli operai. Sfiorato il negozio del parrucchiere dei preti, detto <+G_CORSIVO>Cerigatt<+G_TONDO>, che era proprio sulla curva e aveva appese sopra la porta due bacinelle d’ottone, arrivavo alla rivendita del latte. Donne con per mano dei bambini e molti ragazzi, col secchiello o la bottiglia, si accostavano al banco dove il lattaio e sua moglie mescevano senza sosta. Nel locale vagava un odore di rancido e di cattivo formaggio, un tanfo di siero e di cagliata al quale il lattaio e i suoi, che ne erano intrisi da anni, parevano indifferenti. Appena avuto il mio litro di latte sgusciavo dal locale. Erano, quei giorni, tra inverno e primavera, con lunghe sere, e il fuoco degli incendi sui monti di là del lago, mal rischiarate da poche lampadine gialle agli angoli delle strade. Un tempo, come stagione, simile a quello di questi giorni, pieni di rapine, di sequestri di persona, di carneficine e di fluttuazioni monetarie. Allora pareva che non accadesse nulla. Il più grosso avvenimento era l’arrivo del battello, a mezzogiorno e alle sei di sera, il passaggio del portalettere Vallerani, e ogni mercoledì, l’apparizione improvvisa dei banchi del mercato. Il mio secchiello era ammaccato in ogni parte, perché lungo la strada e prima di farmelo riempire dal lattaio lo usavo come arma contro i miei avversari, che erano i ragazzi delle vie vicine. Lo davo in testa a questo o a quello tenendolo per il suo manico ad architetto, e qualche volta, sbagliando, contro un muro. Gli scontri potevano aver luogo anche dopo che il secchiello mi era stato riempito; per era questa la ragione per cui non ne portavo mai a casa un litro, ma spesso mezzo litro, e qualche volta solo un dito, restato sul fondo dopo una delle solite battaglie che andavo cercando, allontanandomi dalla piazza della Chiesa e spingendomi fin in piazza S. Francesco o in piazza del Risorgimento, se non trovavo avversari a portata di mano.

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L'analisi del testo
di Federico Roncoroni

Il manoscritto del racconto, trovato tra le carte di Piero Chiara, occupa quattro fogli provenienti da uno dei blocchi 22x28 su cui Chiara amava scrivere. I primi due fogli e l’inizio del terzo sono scritti a matita e, oltre a varie correzioni a matita, presentano alcuni interventi a penna biro, fatti in due epoche successive, come dimostra la diversità dell’inchiostro, che è prima blu e poi nero. La quasi totalità del terzo foglio e le poche righe del quarto, invece, sono scritte a biro. La parte del racconto scritta a matita è databile alla seconda metà degli anni Settanta: a quell’epoca conducono sia la grafia sia l’accenno, nel testo, a «questi giorni, pieni di rapine, di sequestri di persona, di carneficine e di fluttuazioni monetarie».
La parte scritta a penna, risale invece a metà anni Ottanta, probabilmente al 1985-1986: lo lasciano intuire sia l’aggiunta «per nuovo Pierino» che Chiara pone in testa al proprio foglio sia il fatto che proprio in quel periodo prese corpo la sua decisione di comporre nuovi racconti dedicati al bambino che era stato. In quei mesi, infatti, è probabile che oltre a scrivere nuovi racconti o a riadattarne altri in vista della pubblicazione postuma, della raccolta «Pierino non farne più!», Chiara abbia recuperato questo testo che, per il suo contenuto, ben si addiceva al progetto. Agli stessi mesi risale anche la prima serie di correzioni a biro blu, come l’intera parte aggiunta. La seconda serie di correzioni, fatta con una biro diversa - la biro con l’inchiostro nero che Chiara usava quando lavorava nel suo appartamento di Varese -, è pressoché contemporanea alla prima. Il racconto così come ci è pervenuto, nonostante la sua sostanziale compiutezza narrativa, non è finito.
Nelle intenzioni di Chiara esso doveva proseguire con un episodio relativo a una delle battaglie combattute con un secchiello del latte sulla via del ritorno a casa: una battaglia in cui Pierino si misurava con un bambino «dalla faccia a luna piena», un certo Cereda, che però, pur di salvare il latte, evitava lo scontro scappando o posando a terra il suo secchiello e stando lì ad aspettare di prenderle; quel bambino Chiara l’avrebbe poi rivisto «40 anni dopo». Di questo sviluppo del racconto abbiamo testimonianza diretta attraverso le brevi note che Chiara appunta nelle cinque righe vergate con la biro blu e quindi all’epoca della prima revisione; «Metteva le monete in terra e scappava, Cereda, il bonaccione dalla faccia a luna piena. Se aveva il secchiello pieno lo posava e aspettava gli schiaffi, pur di salvare il latte. Lo ritrovo 40 anni dopo, dove? Come? Chi? Sala? Ant. Scaletta». E a dimostrazione che aveva proprio in mente di andare avanti, sotto queste note preparatorie traccia, da una parte all’altra del foglio, una lunga riga orizzontale, va a capo e scrive: «Una volta...». Il racconto è anepigrafo. Il titolo «Il secchiello del latte» è nostro. *** Il racconto (F. Nastro Editore, Varese) è dedicato a tutti i Pierini che nei prossimi giorni andranno a scuola per la prima volta. Il piccolo protagonista del racconto è un Pierino di nome e di fatto: chi volesse farsi un idea di che tipo fosse, dia un’occhiata alla fotografia qui sopra che lo ritrae a cinque anni e mezzo, poco tempo prima che iniziasse la sua burrascosa carriera scolastica, e si legga la storia delle sue "avventure" così come lui stesso le ha raccontate una volta diventato grande in un libro giustamente diventato famoso: «Le avventure di Pierino».

Federico Roncoroni

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