Il terzo racconto d'agosto
Amore in breve/5

Rufino andò alla redazione de "La Squilla" per spiegare com'erano andate le cose: "Signori, qui c'è un equivoco. Non sono un assassino"

Istintivamente, Rufino cercò riparo dietro il bavero del soprabito. Poi, come percorso da corrente elettrica, incominciò a camminare a passo spedito senza una meta precisa. Avrebbe voluto pensare, considerare la situazione con lucidità, ma non ci riusciva: nella sua testa risuonava un ronzio insistente e fastidioso, un po’ come gli accadeva, negli anni del liceo, durante le lezioni di trigonometria. Esaurita l’ultima stilla di energia, si abbatté su una panchina. Poco prima si era chiesto se le cose avrebbero potuto andare peggio. Ora aveva la risposta: certo che avrebbero potuto! Oltre a essere un giornalista fallito e innamorato senza speranza, adesso era anche un feroce criminale. Un omicida, nientemeno! Rufino pensò all’Ironia riservatagli dalla Sorte: la ragazza di cui si era innamorato era una collega giornalista che lo perseguitava dalle colonne del quotidiano concorrente. Si chiese perché mai la Sorte avesse sempre in serbo dell’Ironia quando ben pochi al mondo sembravano apprezzarla. «Dafne Cavalli-Cortesi!», esclamò. Quanta rabbia si sentiva scorrere nelle vene pronunciando il nome di quella sciagurata pennivendola, responsabile dell’ora più buia nella sua esistenza. Eppure, ripensando al volto della ragazza, Rufino avvertiva i palpiti dell’amore cancellare ogni risentimento. Si stupì di se stesso e sulle prime rifiutò l’idea, ma infine dovette ammettere che, per quanto assurdo potesse sembrare, continuava ad amare la sua aguzzina... Respirò a fondo e cercò di concentrarsi sui problemi più urgenti. Come nascondersi? Darsi a una vita da latitante? Sarebbe stato come ammettere la sua colpevolezza! «Ma io sono innocente», pensò Rufino. «L’unico mio delitto è quello di avere un debole per la crema di lamponi». «No», disse ad alta voce spaventando un piccione di passaggio. «No e poi no! Affronterò di petto la situazione. Chiarirò ogni cosa e di nuovo sarò un uomo libero e rispettato, per quanto condannato a un lavoretto di bassa lega. Ma non importa! La reputazione, prima di tutto! Marcerò fino al quartier generale del nemico e pretenderò che mi sia data udienza. Sono certo che, alla fine della mia perorazione, la Cavalli-Cortesi e la ganga de "La Squilla" si profonderanno in mille scuse e predisporranno per la prossima edizione un articolo riparatore». Quella sera stessa varcò con passo deciso il portone de "La Squilla". Aveva previsto incontrare qualche difficoltà nel farsi ammettere alla redazione ma, giocando sul fattore sorpresa, superò l’ostacolo. Gli uscieri, vedendolo passare nell’atrio, non provarono neppure a fermarlo, trattenuti dal suo portamento fiero e dall’aria vagamente familiare che emanava. Giunto in redazione, Rufino intimò a un addetto alla posta di indicargli dove trovare Dafne Cavalli-Cortesi. «Svelto!», insistette. «Devo parlarle subito!» L’uomo indicò una piccola scrivania nell’angolo meno luminoso dello stanzone e Rufino riconobbe, china su alcune carte, la giovane incontrata nella sala civica. Prima che potesse raggiungerla, un personaggio dall’aria autorevole uscì da un ufficio e rivolse la parola alla ragazza. «Un caporedattore», pensò Rufino. «Forse un vicedirettore». Si avvicinò ai due in modo da poter ascoltare la conversazione. «Avanti con la storia del maniaco omicida!», diceva il presunto caporedattore. «Picchiamo duro, mi spiego? Per la prossima edizione abbiamo già pronto un editoriale: ’Basta sangue e meno stranieri’. Tu, magari, intervista il Questore: sentiamo un po’ che cosa ha da dire. Insisti con la minaccia per la società, con i cittadini assediati dalla criminalità. Parla di nonne in pericolo, mi raccomando. Sempre insistere sulle nonne in pericolo. Se puoi, fai presente che dalle nonne in questione dipendono moltitudini di canarini e di nipoti». Rufino si fece avanti. «Scusate se vi interrompo, ma qui non c’è nessuna nonna in pericolo». Il caporedattore lo squadrò. «E lei chi è?» «L’assassino. Il maniaco in libertà. Non mi riconosce dall’identikit? Temo però che abbiate preso un granchio: non sono un mostro e tutta questa storia non è altro che un equivoco». Il caporedattore interrogò Dafne: «È questo l’uomo che ti ha aggredita?» La giovane fece segno di sì. «Non è straniero», constatò il caporedattore. «E non sono neppure un assassino!» «Questo lo dice lei! La nostra brava cronista afferma il contrario». «La vostra bella cronista ha scambiato della crema di lamponi per del sangue». Intervenne Dafne: «Ho visto anche uno sguardo sconvolto e inferocito». «Questo perché alla serata non si era presentato nessuno. Vedete, da tre anni scrivo brevi di cronaca per "La Nostra Voce". Un lavoro ingrato, me lo concederete. Come se non bastasse, nutrivo il sospetto fosse, oltre che ingrato, anche inutile. Allora me ne sono inventata una, di breve, e l’ho inserita nel giornale. Un esperimento, solo per vedere che cosa sarebbe successo. La serata è andata deserta, confermando l’inutilità del mio lavoro. Stavo per cercare consolazione in una fetta di torta, quando è entrata lei...» Gli sguardi di Rufino e Dafne si incrociarono. «Balle!», esclamò il caporedattore. «Le riconosco una certa fantasia nel costruirsi un alibi, caro signor assassino, ma non credo a una sola parola. E ora, se vuole scusarmi, vado a chiamare la polizia. La pregherei di non muoversi, in modo da rendere la procedura di arresto meno complicata e sgradevole possibile». «Non ci sarà nessun arresto!», annunciò Rufino e, afferrato un tagliacarte dalla scrivania di Dafne, attraversò la stanza senza che nessuno cercasse di impedirglielo. Poco dopo era di nuovo in strada.

Mario Schiani

(5 - continua)

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