Il terzo racconto d'agosto
"Amore in breve" / 1

Terzo racconto estivo: da oltre tre anni Rufino Nosvelli, giovane apprendista a "La Nostra Voce", trasformava i comunicati-stampa recapitati al giornale in notizie di cinque righe. Ogni giorno una puntata nella sezione Cultura e Spettacoli

L’Apprendista, tutto solo al banco del "Prima Pagina", annacquava di lacrime una cedrata mentre il barista Nicodemo, sempre vicino ai clienti nel momento del bisogno, sorrideva al pensiero del bagno ai sali di cocco che l’attendeva a casa. Il signor Bargilli guardò Nicodemo con riprovazione e sedette - potremmo dire si posò - accanto all’Apprendista afferrandogli un braccio con presa insieme ferma e amichevole. «Chiedo scusa», disse. «Noto un perturbamento del suo umore. Vuole parlarne? Sono qui per questo». L’Apprendista mancò di avvedersi degli avvertimenti che vennero lanciati in suo soccorso dai colleghi disseminati nel bar e diresse la sua attenzione sul signor Bargilli. «Brevi di cronaca!», esclamò con voce irata. «Nient’altro che brevi di cronaca. Da sei mesi frequento la redazione e non mi si chiede altro che scrivere brevi. Notizie di cinque righe! "Mi raccomando", dice sempre il Capocronista, "Non più di cinque righe". Ne ho abbastanza! Vorrei poter arrivare a sei: chiedo troppo? Magari anche usare un aggettivo: ne conosco di onesti e affidabili. Addirittura, nei sogni più sfrenati, vagheggio l’uso di un avverbio. Ma, no! Cinque righe! È tutto quel che mi è concesso!» «Mio caro», cercò di consolarlo il signor Bargilli. «I poeti ermetici hanno scritto capolavori in meno di cinque righe». «Mai io non sono un poeta! E tantomeno un 'emetico': sono un giornalista! O almeno vorrei esserlo: se solo mi si lasciasse scrivere un poco di più...» «Giovanotto», riprese il signor Bargilli. «Mi vedo costretto a contraddirla. Nelle brevi di cronaca c’è molto più sentimento di quanto non creda. Lasci che le racconti una storia...» Gli avventori del "Prima Pagina", con la sola eccezione dell’Apprendista, abbandonarono il locale, provocando in Nicodemo un gemito di cucciolo malato. Il signor Bargilli non fece mostra di essersene accorto. 
   
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Da oltre tre anni (disse il signor Bargilli), il giovane Rufino Nosvelli - ragazzo di bottega a "La Nostra Voce" - scriveva brevi su brevi e soltanto brevi, quando un giorno incominciò a chiedersi se ne valesse la pena. Il suo incarico, in effetti, non era dei più invidiabili. Da ragazzino, a Natale, quando gli veniva posta l’immancabile domanda su «che cosa avrebbe voluto fare da grande» mai si era sognato di rispondere «Vorrei scrivere brevi di cronaca». «Il pompiere!» aveva affermato più volte con entusiasmo; «Il macchinista!» aveva esclamato colpito dal fatto che gli addetti a questa professione sembrassero esonerati dal bagno serale; «I Tre Moschettieri!» era arrivato a osare: indeciso su quale dei Moschettieri concentrarsi, aveva pensato di poter farsi carico dell’intero gruppo. Ma la vita spinge ognuno di noi lungo sentieri misteriosi e il sentiero di Rufino lo aveva condotto dritto alle brevi di cronaca de "La Nostra Voce". Nulla, ora, gli sembrava più distante di quelle ingenue aspirazioni natalizie: nessuno, neppure per un momento, avrebbe potuto scambiarlo per un pompiere, un macchinista o men che meno un assembramento di spadaccini. Rufino svolgeva il suo lavoro alla scrivania più piccola della redazione. Il fattorino depositava in una cassetta i comunicati-stampa appena recapitati al giornale e lui si incaricava di trasformarli in notizie di cinque righe. Erano biglietti, volantini, cartoncini d’invito nei quali era rappresentata la vita associativa della città: comitati culturali, sodalizi scientifici, circoli del bridge e della canasta, svariati tipi di dame caritatevoli, un ventaglio di cenacoli devoti alla letteratura, altri alla pittura, alla scultura, alla musica e uno perfino alla sublime arte del richiamo per uccelli (a questo proposito è curioso notare che nella sala accanto a quella in cui i membri del gruppo ornitologico imitavano il verso dei tordi, si svolgevano dei recital di poesia: ciò alimentava uno spiacevole equivoco). Rufino trascriveva tutti gli eventi culturali e mondani in una colonna di notizie pubblicata in una delle ultime pagine. Solo a vederla, gli metteva tristezza, composta com’era di fitto "piombo": non un titolo, non un’illustrazione a spezzare la monotonia. Quanto al contenuto, avrebbe potuto ripeterlo a pappagallo, come un rumore di fondo al quale si era assuefatto: "La società ornitologico-progressista Tre Passeri Avanti" annuncia l’assemblea ordinaria presso il salone degli specchi a Villa Balossi. Prima convocazione ore 15, seconda ore 21."
"Il gruppo 'Conte Ugolone amanti del belcanto' annuncia la partecipazione alla prima de 'Il Calzolaio di Brugge' del maestro Genoveffo Gasparini. A causa di una laringite che ha colpito il presidente ing. Bedetti, la conferma dell’avvenuta iscrizione verrà recapitata via posta".
A deprimere Rufino non era tanto la monotonia dell’incarico quanto il sospetto che fosse inutile. Sapeva per certo che i membri di tutte le associazioni ricevevano per posta gli inviti a partecipare alle attività: riportarli anche nel giornale era una consuetudine, forse addirittura una tradizione, in ogni caso - temeva Rufino - senza alcuna utilità pratica. Intorno a sé, intanto, vedeva all’opera reporters che con il loro lavoro mettevano a rumore la città. Vedeva autori di inchieste che flagellavano assessori e imbarazzavano sindaci. Vedeva cronisti far tremare con la penna i palazzi del potere e del denaro. Loro sì che potevano ben dire di essere diventati Moschettieri! Lui, invece, chiamava a raccolta anonimi cittadini ai quali non era affatto necessario che fosse il giornale a rammentar loro gli impegni mondani. Il suo lavoro, sospettava, equivaleva a quello di quel tale molto ostinato che grida nel deserto, bizzarro "hobby" che Rufino non aveva alcun desiderio di emulare. Il dubbio lo rodeva: avesse almeno avuto la prova che le sue notizie servivano a qualcosa, si sarebbe sentito meno abbattuto. Un giorno, preparate cinque righe sulla cena di gala del "Circolo Ocarinisti Patriottici", decise che non poteva più vivere nell’incertezza. Doveva accertarsi se il suo lavoro fosse necessario a qualcuno oppure no. Per saperlo, non c’era che un modo.

Mario Schiani

(1 - continua)

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