La memoria del S. Martino
Storie della collina dei matti

Un libro fotografico di Mauro Fogliaresi e Gin Angri sull'ex manicomio restituisce un pezzo di città dimenticato, che aspetta ancora la sua destinazione


E' in libreria "Le stagioni del San Martino. Documento fotografico sulla psichiatria", Marna, pagine 280, euro 30.


di Pietro Berra

C’è chi tiene in casa un mattone del muro di Berlino e chi, come me, una foto dell’ex manicomio di Como. Per la precisione un bianco e nero scattato nel "bosco delle parole dimenticate". In primo piano l’aforisma scritto da uno degli ultimi degenti su un pezzo di barca e inchiodato a una betulla dell’immenso parco: «Il silenzio è la fine», mi ammonisce ogni sera, dando un senso anche a tutte le parole scritte di giorno, in redazione. Per chi sul Lario è nato e cresciuto, il San Martino rappresenta un luogo della memoria, anzi "il" luogo della memoria. Grazie anche all’encomiabile lavoro effettuato da alcuni volontari per tenerla viva. Primi tra tutti, e non solo per ragioni temporali, Gin Angri (fotografo) e Mauro Fogliaresi (poeta) dell’associazione Luoghi non comuni, che ora hanno sigillato in un bellissimo libro "Le stagioni del San Martino. Documento fotografico sulla psichiatria", Marna, pagine 280, euro 30) oltre 130 anni di storia della collina dei matti.
La prima data importante è il 15 agosto del 1870, quando fu scelta l’area dove costruire il manicomio, perché aveva tutte le caratteristiche che ne avrebbero fatto una città nella città, dove i "malati" potevano vivere e persino lavorare per automantenersi, senza disturbare i "sani".

L’ultima parola, invece, deve ancora essere scritta: la lenta dismissione dell’ex ospedale psichiatrico, completata solo 20 anni dopo la legge Basaglia, è stata una tappa importante, ma nell’area del San Martino sono in gioco ancora sfide importanti. Per il futuro della psichiatria, presente con due delle comunità che hanno sostituito i vecchi manicomi, e per il futuro della città. Quando risorgerà il sole sulla collina che per tanti anni è stata sinonimo di isolamento e segregazione? Quando studenti universitari e ricercatori riempiranno i vecchi padiglioni trasformati in aule e laboratori d’avanguardia? Quando il San Martino si aprirà veramente alla città, ché adesso rischi di essere blindato all’ingresso dal servizio di vigilanza anche solo se ti azzardi a fare una passeggiata nel parco? Ecco, quando verrà il momento, quando e se Como avrà la forza di darsi una svolta, di realizzare l’agognato campus, c’è da sperare che lo faccia senza dimenticare il proprio passato. Nel dividere la proprietà, bisognerà trovare uno spazio anche per la memoria. Per una mostra permanente delle immagini contenute in questo libro, ad esempio. Per le associazioni che in questi anni hanno promosso visite guidate, ricerche e concerti e che in appendice allo stesso volume danno testimonianze importanti.

Per l’archivio delle cartelle cliniche, che proprio attraverso le foto di Gin Angri giungono per la prima volta al pubblico, rivelando con empatia e drammaticità il dolore che lì dentro hanno patito per anni i cosiddetti matti, nell’indifferenza dei presunti normali che stavano fuori, a sbirciare attraverso la cancellata. Sono foto che fanno pensare, quelle di Gin Angri. Che spingono a domandare alla propria coscienza che cosa ne sarà stato di Carolina, tenera 14enne arrivata al San Martino il 31 ottobre del 1916. A condannarla una lettera del suo medico, che la descriveva «affetta da eccitamento in demenza precoce», e quindi «pericolosa a sé e agli altri» al punto da ritenere «urgente il suo ricovero in manicomio». E accanto a quella di Carolina ci sono altre 42 mila tragiche esistenze stivate nei vecchi faldoni. «Ogni cartella un malato, una storia, un libro, un film dimenticato da raccontare», come scrive Fogliaresi nella prefazione del libro. Storie di contadini la cui vera malattia era la miseria. Storie di soldati impazziti per l’orrore vissuto nelle trincee della prima guerra mondiale. E persino la storia di un campione del mondo di pugilato. La sua cartella clinica non è presente nel libro fotografico sul San Martino, soltanto perché è stata scoperta dopo che era andato in stampa. L’eccezionale boxeur risponde al nome di Domenico Bernasconi, lagliese. Da anni io e Gin Angri ne seguivamo le tracce che portano fino a Hollywood, dove pare abbia ispirato il capolavoro di Billy Wilder "A qualcuno piace caldo".
Un giorno Gin mi ha chiamato per dirmi che aveva trovato l’ultimo tassello dell’incredibile vicenda terrena del pugile laghée: proprio lì, nell’archivio del San Martino. Infine si era piegato anche lui, un tempo soprannominato "calciodimulo" per il pugno micidiale e "kiss" per il sorriso irresistibile, sotto le scariche dell’elettoschock. Come la piccola e inerme Carolina. C’è anche la foto che ho appeso in casa, nel libro sul San Martino. Scorrendo le pagine successive si rimane colpiti da altre piccole illuminanti frasi appese nel "bosco delle parole dimenticate", frutto di un laboratorio di scrittura che il poeta Vito Trombetta tenne all’ex ospedale psichiatrico nel ’99: «Dio esagera col silenzio / l’uomo con la parola», «Vorrei sognare di contare le pecore», «La mia mente è come l’usuraio e il suo debitore»... Un giorno le leggeranno gli studenti? Che bello anche solo pensarlo: gli universitari che prendono lezioni dai matti!

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