Le donne di Metlicovitz,
glamour senza tempo

Fino al 2 novembre una mostra sul padre del manifesto pubblicitario. Nato a Trieste, il disegnatore visse per lungo tempo e morì proprio nel paese comasco

di Emma Gravagnuolo

Per Leopoldo Metlicovitz era chiaro fin da subito che la pubblicità non doveva essere una copia in tono minore della pittura, ma al contrario doveva seguire altri obiettivi e usare strumenti linguistici diversi. Che si trattasse di presentare scarpe o liquori, pneumatici o spettacoli teatrali, le sue brillanti soluzioni compositive prevedevano manifesti dal taglio narrativo forte e insolito, dal segno grafico elegante, popolate da figure imponenti che avevano un impatto immediato sulla scena.

Quelle donne fatali

Nei frammenti di vita quotidiana che raffigurava, il consumatore poteva così identificarsi, in un continuo rimando tra l’essere e il voler essere. Dotato di un naturale e infallibile senso della composizione e dell’armonia cromatica, Metlicovitz (1868-1944) è considerato, insieme al conterraneo Marcello Dudovich, tra i padri della grafica pubblicitaria italiana. Artista poliedrico - era anche tipografo, illustratore, scenografo e pittore - viene oggi ricordato dalla sua patria d’adozione, il Lario. Ponte Lambro (dove visse per lungo tempo e morì nel 1944) lo ricorda con la grande mostra "La donna nel manifesto pubblicitario", promossa con il patrocinio dell’Amministrazione provinciale di Como, in collaborazione con il comitato per i 140 anni della sua nascita.
Aperta al pubblico fino al 2 novembre, ad ingresso libero, la rassegna raccoglie copertine e inserzioni promozionali d’epoca.

Gli inizi come tipografo

Figlio di un commerciante di origini dalmate (il cognome della famiglia era Metlicovich), Leopoldo ha solo quattordici anni quando comincia a lavorare come aiuto-litografo in una tipografia di Udine. Viene notato dall’editore musicale Giulio Ricordi, proprietario delle omonime Officine grafiche, che lo invita a trasferirsi a Milano: la città, a cavallo tra Otto e Novecento, offriva molte opportunità nel campo delle arti applicate per la presenza di alcune tra le più importanti case editrici e di molte tipografie specializzate. Pochi anni dopo, nel 1892, Metlicovitz diventa direttore del reparto tecnico della Ricordi.
Contemporaneamente lavora anche per il teatro: è scenografo e costumista alla Scala, cartellonista e illustratore di libretti d’opera, spartiti, calendari, riviste. Diventa amico di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, frequenta i locali mondani, viaggia in Inghilterra, in Germania, a Parigi. Importanti occasioni di lavoro gli vengono fornite dallo spettacolo in generale: dal melodramma, dall’operetta, dalle novità delle incisioni su disco fino alle prime opere cinematografiche, tra cui spicca il celebre manifesto per il film "Cabiria", kolossal del muto sceneggiato da Gabriele D’Annunzio. Intanto le più importanti aziende lo chiamano per lavorare alle proprie affiches, tra cui i grandi magazzini Mele di Napoli, Liebig (per cui studia anche una serie di cartoline), Pirelli e Moretti.
Attraverso i suoi manifesti, preziosa testimonianza di costume del passato, si può individuare il graduale evolversi delle abitudini di vita, dei gusti e dei costumi. Anche il suo stile è sempre al passo dei tempi: le figure diventano meno statiche e sono delineate in atteggiamenti di più marcato dinamismo, in linea con un mondo in rapido cambiamento.
Tra le sue intuizioni grafiche più riuscite, c’è quella della figura allegorica maschile accostata a un’automobile, un’iconografia ripresa spesso negli anni in quanto incarnazione dello spirito moderno, di facile lettura ma di deciso impatto visivo. Famosissimo anche un suo marchio di fabbrica, usato ancora oggi dalla distilleria produttrice del Fernet Branca, che raffigura un’aquila che tiene tra gli artigli la bottiglia di liquore e il mondo. Metlicovitz si cimenta anche con l’illustrazione per le riviste "Ars et Labor", "La Lettura, Almanacco Italiano" e porta avanti una parallela attività di pittore con dipinti a olio e acquerelli.

Paesaggi dal vero

Dal 1908 lavora tra Milano e la sua villa di Ponte Lambro, fino a sceglierla come residenza definitiva nel 1915. Da questa data dedica a tele e pennelli molto del suo tempo: predilige paesaggi e ritratti ripresi dal vero. Verso la metà degli anni Venti prende a cuore la causa del turismo italiano ed esegue diversi manifesti per reclamizzare luoghi di villeggiatura, come Stresa e il Lido Villa Margherita a Como. .

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