Libico Maraja, quel tratto magico
dall'animazione alla pittura

Due mostre sull'opera del grande illustratore comasco
Verrà anche riproiettato il film <La rosa di Bagdad>

Lui vivo, Como ne ospitò alcune opere in una mostra una sola volta, al Broletto. Lui ormai scomparso, i figli e tanti appassionati comaschi di illustrazione, poi riuniti nell’associazione che ha preso il suo nome, si sono dedicati alla raccolta di infiniti pezzi della sua carriera artistica dando vita a quello che è definito l’Archivio Maraja, ospitato a Camerlata (Como) in alcuni locali concessi dal Comune. Libico Maraja amava i bambini, principali destinatari del suo lavoro. Ora, non caso, una manifestazione cittadina appunto dedicata ai bambini, la Città dei balocchi alla 15a edizione, ha voluto dedicargli una duplice inedita mostra intitolata <La realtà incantata: l’opera multiforme di Libico Maraja>. La prima - che sarà inaugurata sabato 8 novembre, alle 17, a Palazzo Volpi - ne ripercorrerà l’intero percorso professionale (disegnatore, scenografo, grafico pubblicitario, fumettista) e ospiterà le proiezioni de <La rosa di Bagdad>, i laboratori didattici dei Servizi educativi su quattro tematiche, incontri e momenti musicali. La seconda, che sarà aperta domenica 9 novembre, alle 10, in San Pietro in Atrio, porrà l’accento sul Maraja pittore - come amava definirsi - proponendo una settantine di opere selezionate dalla moltitudine dell’Archivio Maraja. Sì, perchè il Maraja pittore, oscillante tra astratto e figurativo, è l’aspetto meno noto e in costante fase di rivalutazione. Un duplice omaggio, questa mostra, di livello internazionale e condiviso fino al 19 gennaio 2009 dalle partnership dell’assessorato comunale alla Cultura, dei Musei civici, degli Amici di Como e del Consorzio Como turistica.

<Capolavoro di poesia e umanità». Così, nel 1949, dopo la proiezione alla decima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia - dove conquistò il primo premio della sezione Ragazzi - la stampa definì <La rosa di Bagdad>, il primo lungometraggio italiano a colori e a cartoni animati (76 minuti, scritto e diretto per la Ima Film da Anton Gino Domeneghini, prodotto da Cesare Pelizzari, musiche di Riccordi Pick Mangiagalli) del quale Libico Maraja fu il capo scenografo e che si rivelò determinante per la sua carriera. <La rosa di Bagdad> racconta l’amore di Amin e Zeila, due soavi creature che devono affrontare mille emozionanti avventure fantastiche per coronare il loro sogno di felicità.

Ha ricordato Marzio Maraja, figlio dell’illustratore, alla presentazione delle mostre dedicate al padre: «In quegli anni, la mia famiglia con tante altre era ospitata in una villa a Brescia che era stata divisa per farci stare tutti. Mancava praticamente tutto. Eppure, tra tante difficoltà, mio padre lavorava a <La rosa di Bagdad>. Se serviva il colore, veniva preparato al volo... Ci si arrangiava in tutto...». Durante la lavorazione del film, la ricerca di pose e di atteggiamenti è provata con le persone che si hanno a disposizione. Gli strumenti utilizzati sono inventati al momento: per disegnare il movimento del cammello, si sposta un carretto a due ruote molto alte che, ricoperto da un panno e cavalcato da un uomo, ricrea le reali ondulazioni della gobba. Maraja stesso, piccolo di statura, viene scelto per scalare un cancello: lo schizzare i suoi lineamenti in salita suggerisce ai disegnatori le giuste movenze del protagonista Amin. Sì, quei 2.200 metri di pellicola, frutto di cinque anni di lavoro (’41-’45), furono davvero importanti per Maraja, ma non tutto. Ci furono anche tantissimi fumetti: alcuni, di <Topolino>, sono esposti - un’esclusiva: per la prima volta - l’anno scorso alla prima «Fumettando» allo Spazio Gloria.

Tra i più prolifici illustratori per l’infanzia del Dopoguerra, nato quinto di otto figli a Bellinzona il 15 aprile 1912, il padre Francesco, nazionalista convinto, volle chiamarlo Libico perchè venne alla luce durante la guerra Italia-Libia. A soli cinque anni le prime cartoline per la Croce rossa disegnate all’asilo. Poi la scuola d’arte a Lugano, nel ’26 il premio Maraini per la pittura. Una vita intensa, raccontata con fedeltà dal volume <Maraja, l’uomo e l’opera> di Silvia Bernasconi, Vittorio Mottin e Alberto Longatti: c’è tutto, la grafica, la pubblicità, gli anni di Milano, i tanti successi, Moltrasio, Como, infine la morte a Montorfano nel 1983.
 
Andrea Cavalcanti

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