Lipari e "Il sogno di Federico"
"Tributo a Fellini, oggi dimenticato"

Il 4 ottobre, al cinema Lux di Lugano-Massagno, si proietta la docu-fiction del regista comasco, con Valentina Merizzi e Sergio Rubini

Il sogno di Paolo Lipari è, da sempre, quello di ogni regista: realizzare un film. Un sogno che, per lui, si è avverato diverse volte, coniugando arte e lavoro, come insegnerà ai suoi allievi a Dreamers, la nuova scuola cine - video di Como, a partire dal prossimo novembre, come ha sempre fatto. Ma l’opera che presenta stasera alle 20.30 al cinema Lux di Lugano - Massagno, in un montaggio preparato per la Rtsi che sarà rivisto e ampliato per l’Italia, rappresenta un traguardo importantissimo per il cineasta comasco. "Il sogno di Federico" è un film-tv, una docu-fiction, per utilizzare termini corretti e adatti a questo primo scorcio di nuovo millennio. Meglio farseli spiegare dal diretto interessato.

Come è nato questo progetto?

Da un grande amore, quello per Fellini. È lui il "Federico" del titolo, un regista che ha significato tanto per più di una generazione di cineasti. Paradossalmente proprio ora che i giovani potrebbero avvicinarlo scoprendone l’incredibile modernità è tanto celebrato quanto poco mostrato.

Da qui la decisione di raccontarlo ai neofiti?

E non solo. Intanto non c’era la volontà di realizzare un film su Fellini. Anzi, l’ho tenuto volutamente sullo sfondo. E non si tratta di una pellicola per addetti ai lavori. È una docu-fiction, appunto.

Spieghiamoci meglio.

C’è un’attrice protagonista, Valentina Merizzi che ho conosciuto grazie al «Festival del cinema italiano a Como», era la protagonista di "Devi essere il lupo". Gli altri interpreti, invece, arrivano realmente dal Cisa, il Conservatorio internazionale di scienze audiovisive di Lugano che è coproduttore assieme alla televisione svizzera. Ci sono interviste reali a personaggi che hanno collaborato con Fellini, diversissimi come possono esserlo Tullio Kezich e Alvaro Vitali che mi ha davvero commosso con la sua spontaneità.

Ma c’è anche Sergio Rubini, il "Fellini giovane" di «Intervista».

Lui, ad esempio, è uno dei punti di contatto tra la realtà e la fiction perché introduce un elemento misterioso che è la chiave di volta del racconto.

La commistione tra realtà e fantasia deriva da Fellini?

Non era mia intenzione realizzare un film "felliniano". "Fellinista", magari, un omaggio che è anche un invito alla riscoperta a quindici anni dalla scomparsa e, inevitabilmente, alcune tematiche si riallacciano alla sua estetica.

A cosa è dovuta questa progressiva scomparsa di Fellini dalla memoria?
Anche film celebratissimi come "La dolce vita" e "8 1/2" difficilmente vengono trasmessi in tv, chissà, forse anche vincolati dalle sue proteste per le indesiderate interruzioni pubblicitarie, per lunghezze che non tengono conto, giustamente, delle esigenze dei palinsesti. E dire che, lo ribadisco, tanti giovani video maker troverebbero tantissimi spunti, soprattutto in pellicole come "La città delle donne" o "E la nave va"> che dimostrano come fosse proiettato verso un futuro cinematografico che è attuale oggi.

Alessio Brunialti


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Gandola firma la sceneggiatura
Viaggio nel mito con risvolti thriller


Nei titoli di testa de «Il sogno di Federico» si incontra anche un nome caro ai nostri lettori: quello del direttore di questo quotidiano, Giorgio Gandola. Così Paolo Lipari racconta il coinvolgimento di un giornalista “prestato” alla settima arte: «Ci conosciamo da tanti anni e ha avuto un ruolo importantissimo per la definizione del soggetto del film che nasce proprio da una serie di conversazioni dove abbiamo elaborato la trama». Si tratta, come detto, di una docu-fiction: alla parte reale, alle interviste di ragazzi del Cisa ai collaboratori di Fellini, si sposa anche una fiction che ha quasi i contorni di un thriller. Senza svelare troppo il regista anticipa che «saranno tre ragazzi a mettersi alla ricerca di un ultimissimo capolavoro perduto di Fellini. Non il leggendario "Mastorna" ma qualcosa di più incredibile. Un sogno, immagini captate da una macchina che le ha raccolte quando il regista è entrato in coma».

Al. Br.

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