Ma il “Ballo” piace poco

Stasera in replica al Sociale l’opera di Verdi

Ci sono regie operistiche di oggi (“nuove”, “moderne”, “creative”, “innovative”: poco conta, l’aggettivo) che, pur trasferendo tempi, luoghi o situazioni del contesto drammaturgico originale, creano un nuovo senso comunicativo ed espressivo efficace, ed altre che riescono a scollegare i linguaggi comunicativi al punto da far scemare la presa espressiva dell’opera primigenia.

L’allestimento di “Un ballo in maschera” prodotto da OperaLombardia e approdato al Teatro Sociale in prima comasca giovedì sera e questa sera in replica alle ore 20.30, già annunciato come appartenente alla seconda categoria (ma bisogna ben provare, per credere) ha confermato le alterne accoglienze pavesi con una serata di debutto altrettanto tiepida ma, soprattutto, difficile da godere. Prima ancora che l’idea del regista Nicola Berloffa di spostare l’ambientazione dal governatorato seicentesco di Boston alla Washington di Lincoln coeva agli anni di nascita del melodramma verdiano, è l’insieme delle trovate registiche a scollegare la presa emotiva del pubblico dall’insieme, andando a ricadere sul dato musicale.

Lasciate le perplessità alla viva voce del loggionista lariano che, al buon quarto d’ora di ritardo sull’inizio previsto, sbotta in un “cos’è ‘sta roba” di fronte al flash-back pseudo cinematografico che anticipa l’assassinio di un Abramo Lincoln – Riccardo con tanto di urlo sguaiato della dama e sicario – Groucho Marx, è proprio un’ “America da cartolina” quella che si materializza fra cowboy in palco d’opera che fumano e mettono occhiali da sole alla Giudice Morton di Roger Rabbit, fantesche zombie, un paggio Oscar “en travesti” che diventa fanciulla esuberante fino al protagonista che agonizza fino all’ultimo in stentorea posizione in piedi. Una difficoltà in più, dunque, rispetto al mettersi nella predisposizione fruitiva di godersi la musica di Verdi e la relativa ricerca di sentimento da parte del pubblico comasco, numeroso in platea, abbastanza nelle gallerie e a metà nei palchi. La serata di vento, fuori le mura del teatro, non veniva certo incontro alle voci; sta di fatto che la bacchetta esperta e raffinata di Pietro Mianiti, capace di aperture strumentali delicate e accorate, faticava a tenere il palcoscenico per un atto buono e anche più. La pezza giustificativa presentata dalla direzione del teatro rispetto alle condizioni di salute non perfette di Sergio Escobar assolve anche nel giudizio del pubblico il tenore dagli scivoloni e dalle sforzature. Non dispiace Daria Masiero, fresca di ruolo in Amelia, che cura le mezze voci e dà buon riscontro alla propria tecnica anche sul fronte drammatico; convince Annamaria Chiuri nella parte di Ulrica, completa di registro, fine d’emissione e chiarezza di parola; reggono bene il Renato di Angelo Veccia quanto a vocalità intensa e drammatica e l’Oscar mutato in cavallerizza e dama di Shoushik Barsoumian.

Bisogna aspettare il terzo atto per trovare un po’ d’equilibrio e ritrovare emozione dalle pagine di questo “Ballo in maschera”.

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