Malato immaginario
«Ingenuo e cinico
come voleva Molière»

«Non chiamatemi “mattatore”… altrimenti mi arrabbio!». Comincia così, in tono fintamente burbero, la chiacchierata con Paolo Bonacelli, il grande attore dal curriculum chilometrico, tra teatro, cinema e tv. Sarà proprio lui a salire sulle scene del Sociale di Como, domani e sabato, alle 20.30, con lo spettacolo “Il malato immaginario” di Molière. La sala propone, per il ciclo Prose 1, una produzione del Teatro Stabile di Bolzano, uno spettacolo classicissimo che vede protagonisti, oltre a Bonacelli, anche Patrizia Milani e Carlo Simoni, per la regia di Marco Bernardi. (Biglietti da 27 a 13 euro più prevendita. Info: www.teatrosocialecomo.it e 031/270170.

Bonacelli dunque sarà Argante, l’ipocondriaco più famoso del teatro mondiale. Un ruolo interpretato un’altra volta negli anni Settanta, con la regia di Missiroli, a Torino.

Bonacelli come si sente nei panni di questo “malato immaginario” un po’ ingenuo, un po’ cinico, così divertente e dolceamaro?

È un grande personaggio, a tutto tondo e per questo arricchente. Per affrontarlo, ora come tanti anni fa, ho applicato il metodo che sempre utilizzo per calarmi nei ruoli che ho interpretato.

Ovvero?

Io costruisco il personaggio partendo da ciò che egli dice, quindi la mia bussola è sempre il testo. Questo avviene sia quando affronto i testi contemporanei che (e in maniera ancora più importante) quando mi trovo ad interpretare i classici. Per me, il testo è il viatico da seguire fedelmente.

Detta così sembra facile. Nessuna invenzione interpretativa?

In alcuni casi capita e Argante è proprio un personaggio che si presta, visto che, come è noto, Molière, autore e interprete, amava scrivere testi piuttosto ridotti, aggiungendo, via via, proprio in scena, abbellimenti e momenti di improvvisazioni. Il rigore nella lettura del testo resta la strada maestra.

E dunque, che Argante ci presenterà?

L’alter ego di Molière, che scrisse questo ruolo replicando se stesso. Argante è un buono, ingenuo, ma anche un po’ cinico, a causa dell’età. In questa interpretazione mi sono trovato in perfetta armonia con il regista, Marco Bernardi, con il quale ho già lavorato in numerosi altri allestimenti. Un elemento originale è l’atmosfera onirica in cui si riflettono i pensieri di Argante. Un espediente che sostituisce gli intermezzi che la tradizione prescriveva all’interno dello spettacolo.

Lo spettacolo ha già girato l’ Italia, con numerosissime repliche che hanno ottenuto grande successo. Una bella soddisfazione?

Certamente ma, soprattutto, una grande sorpresa sia per l’entità del successo che otteniamo ogni sera, sia nell’accorgersi dello stupore che il pubblico prova, scoprendo il testo.

Eppure è un grande classico…

Sì, ma in un momento in cui il teatro si sta allontanando dalla vita sociale, il pubblico si stupisce come se scoprisse un tesoro nascosto. È la dimostrazione di quanto sia necessario tornare a produrre e rappresentare i testi della tradizione, senza i quali non ci può essere la sperimentazione.

Abbandonando per un attimo il teatro, parliamo di cinema… Ha progetti in merito?

Il cinema oggi è gravemente asfittico, anche se l’Italia ha appena vinto l’Oscar, con “La grande bellezza”. Un risultato che mi rende felice ma che non racconta la crisi del nostro cinema, con pochi soldi, poco coraggio, poche idee nuove. Tuttavia, c’è un progetto, (di cui non parlerò, per scaramanzia) che potrebbe riportarmi sul set.

Ultima curiosità: perché non vuole sentirsi definire “mattatore”?

Perché il teatro è un gioco di squadra, un lavoro “sociale”, non un affare da prime donne. n Sara Cerrato

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