Mecenate o mercenario?
Ombre su Paolo Giovio

Alla Normale di Pisa rivelazioni scottanti sull'umanista comasco. Uno studioso lecchese confuta le accuse. "Ma amava vivere bene"

Paolo Giovio, lo studioso ed il fine intellettuale nato a Como nel 1483, è oggetto di una nuova riscoperta, che lo vede al centro di numerosi contributi scientifici. Il merito maggiore di questa rinnovata attenzione per la vita e l'opera di Paolo Giovio, va ascritto a Franco Minonzio, lo studioso che ha curato per i “Millenni “ Einaudi gli “ Elogi degli uomini illustri” e per le edizioni Il Polifilo “La descrizione del Lario”, due opere gioviane di diverso spessore ed intendimento, ma fondamentali per comprenderne le diverse sfaccettature. Resta un mistero questa specie di censura che per tanti, troppi anni ha quasi fatto dimenticare un personaggio come Giovio. “C’è tutto un filone di denuncia delle opere del Giovio – ci dice Franco Minonzio - soprattutto ad opera dei fuoriusciti fiorentini. La più grande accusa che gli veniva fatta era quella di essere una «penna d’oro», cioè di vendersi per denaro. Ma è un’accusa ingiusta. Giovio amò vivere bene, ma non fu certo un mercenario. Aveva un’idea alta della sua opera e voleva che sopravvivesse”. In questi ultimi mesi due nuovi studi di Franco Minonzio hanno ulteriormente contribuito a farci conoscere questo brillante comasco, che proprio nella sua città natale volle costruire il suo Museo. Il primo di questi contributi (“Riflessi sull'opera gioviana dei mutamenti delle scienze tra XV e XVI secolo”) si trova in “Sperimentalismo e dimensione europea della cultura di Paolo Giovio” (Società storica comense); il secondo (“Il Museo di Giovio e la galleria degli uomini illustri”) è raccolto negli atti del convegno “Testi, immagini e filologia” (Edizioni della Normale) tenutosi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Senza entrare in questioni troppo specialistiche, ci pare molto interessante riflettere sulla costruzione di quella villa, che Paolo Giovio ideò come luogo privilegiato per la raccolta dei suoi ritratti.
Come nasce l'idea di questo Museo sulle rive del lago?
“Non è chiaro se tutto inizi con la raccolta dei ritratti o con l’idea di costruire una villa museo. Sta di fatto che nel 1521 Giovio inizia a raccogliere ritratti di uomini illustri. Nel contempo, con il fratello Benedetto, inizia a cercare un terreno in quel di Como per costruire la sua villa. Inizieranno ad edificarla a Borgovico nel 1537 e quello sarà il Museo di Giovio. Una villa del tutto particolare in cui troveranno sede tutti i ritratti raccolti in quegli anni”.
Possiamo definirlo un progetto articolato in cui si mescolano architettura, arte pittorica e letteratura?
“Direi proprio di sì. Non dobbiamo dimenticare che al di là delle non facili questioni temporali, il museo gioviano è storicamente l'esito dell'interazione di tre piani: l'architettura del museo, la collezione dei ritratti e l'insieme della raccolta degli elogia, gli “Elogia” dei letterati (1546) e gli “Elogia” degli uomini d'arme (1551). In sintesi il Museo è stato costruito per fungere da degno contenitore della raccolta iconografica e da qui nasce l'idea della stesura degli elogia”.
Paolo Giovio viveva a Roma; come mai decise di costruire la sua villa-museo a Como?
“Innanzitutto per una questione di affetto e di riconoscenza nei confronti della terra che gli aveva dato i natali. A Borgovico, poi, c'era uno scenario naturale che ben si addiceva a quel “templum virtutis” che voleva essere il Museo gioviano. Infine c'è un particolare non secondario. La villa viene costruita su una preesistente costruzione romana, che Giovio identifica come la villa pliniana. Un riferimento storico che voleva dare a quella costruzione una sua intrinseca classicità. Si trattava in verità di un “falso”, che però spiega bene l'ispirazione e gli intendimenti di Paolo Giovio nell'erigere il suo Museo”.
Oggi della villa non resta più nulla. Come mai un monumento così significativo non è sopravvissuto ai tempi?
“E' una storia complessa. Paolo Giovio aveva chiesto che i ritratti fossero mantenuti nella villa, che per loro era sorta. Purtroppo i discendenti non rispettarono questa volontà e la prima cosa che fecero fu proprio quella di dividersi i dipinti. Teniamo conto che se alcuni erano di autori sconosciuti, altri erano di pittori come Mantegna o Tiziano, dunque cominciavano ad avere un certo valore. In secondo luogo la villa ebbe danni ingenti per alcune esondazioni alla fine del Cinquecento e ad un certo punto fu addirittura destinata a ricovero per le truppe spagnole. Infine ci si misero i Gallio”.
In che senso?

“La famiglia dei Gallio costruì la sua villa proprio sul terreno occupato dal Museo gioviano. Per una sorta di “damnatio memoriae” rase al suolo il precedente edificio e vi costruì la nuova villa. Diciamo che probabilmente i Gallio vissero tutto ciò come una specie di rivincita sui Giovio, che avevano superato in importanza e potere. Per tutto questo del museo gioviano non resta nulla e forse i Gallio ebbero ragione perché la loro villa c'è ancora”.

Gianfranco Colombo

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